Il 1° Maggio, in coincidenza della festa dei lavoratori, la Spagna, il Portogallo e la Finlandia hanno aperto definitivamente e senza restrizioni di sorta le loro frontiere ai lavoratori comunitari provenienti dai nuovi 10 stati aderenti all?Unione Europea, anticipando così di molto la scadenza prevista dai regolamenti comunitari che prevedono la libera circolazione di tutti i cittadini dell?Unione entro il 2011. Con questa decisone formale i tre paesi sono andati ad aggiungersi alla Gran Bretagna, all?Irlanda e alla Svezia che hanno già fatto questo passo da tempo.
L?Unione Europea con l?ammissione dei 10 nuovi membri (Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia e Ungheria), avvenuta il 1 Gennaio 2005, ha necessariamente tenuto conto dell?impatto che il probabile flusso migratorio di milioni di lavoratori avrebbe potuto avere sul resto dell?Unione, lasciando ai singoli stati tempo e libertà fino al 2012 di modulare tale fenomeno sul loro territorio a propria discrezione. A parte i tre (ora sei) stati che permettono ad oggi la libera circolazione, il resto d?Europa, Italia compresa, continua ad esercitare il diritto di limitare la stessa determinando dei flussi migratori di anno in anno.
Libere scelte dei singoli stati. Ma se teniamo conto che le aree di maggiore crescita e sviluppo economico in Europa coincidono con i paesi che hanno lasciato da subito il libero accesso ai lavoratori dei 10 nuovi stati, oltre all?aggiunta di aver avuto l?accortezza di applicare leggi di flussi extracomunitari molto più flessibili e favorevoli, ci chiediamo per quale particolare motivo paesi in forte imbarazzo di crescita come l?Italia, la Francia e la Germania non abbiano il coraggio di fare questo passo. Il rifiutare per anni una materia prima così fondamentale come la forza lavoro europea, sapendo che comunque sarà inevitabile ed incontrovertibile nel 2012, sembra più che altro per questi paesi restii al cambiamento un chiudersi in se stessi rinunciando ad un?opportunità unica.
Rinunciare oggi a lavoratori europei qualificati significa il dover necessariamente accettare in futuro, vista la tendenza demografica attuale, la mano d?opera extraeuropea. Non è difficile immaginare che si vada più facilmente a creare un flusso migratorio costante negli anni là dove un cittadino polacco o ungherese ha il libero accesso di andare a lavorare piuttosto che in Italia dove non vi è questa possibilità. Il fenomeno è equivalente a quello migratorio italiano dei decenni scorsi: un giovane calabrese andava a lavorare dove vi era già una comunità italiana sviluppata ed inserita. L?Italia, rinunciando in questi delicati anni di melpot europeo a dare linfa allo sviluppo di nuove comunità ?nostrane?, non fa altro che rallentare sul proprio territorio nazionale il processo di integrazione europea favorendo invece una migrazione ed una crescita di comunità extraeuropee. Fenomeno già visibile in molte città italiane dove le comunità più grandi, oltre a quelle degli irregolari, sono di paesi extracomunitari.
Allora avanti, forza e coraggio. E che il nuovo governo di centrosinistra abbia la capacità di abbattere queste insulse barriere tra i cittadini europei e che inoltre si appresti a varare una riforma della legge sui flussi migratori extracomunitari che sia il più civile, moderna e non discriminatoria nei confronti di nessuno possibile, favorendo finalmente una migrazione anche di alto livello mirata soprattutto a rigenerare lo sviluppo del nostro paese senza timori e ne vergogna.
Spagna, Portogallo e Finlandia abbattono le frontiere