Le parole iniziali nel libro del Qoèhlet ci invitano a capire e ad esercitare nella giusta misura una delle condizioni principali della vita umana: il tempo. Perché è fuori dubbio che c?è un tempo per la guerra ed uno per la pace, un tempo per morire ed uno per l?amore. Ma non è poi così scontato il fatto che c?è un tempo anche per ricordare. Un tempo che nella nostra storia ha fatto sempre molta fatica a trovare la sua collocazione, il suo giusto metro di utilizzo.
Ci sono voluti 60 anni per trovare la volontà, la capacità, il coraggio, di istituire il ?Giorno della Memoria?. Una memoria sull?olocausto del popolo ebraico, la Shoah, ma che oltre modo raggiunge e abbraccia ogni altra tragedia recente e lontana, palese o nascosta che sia. Tragedie scaturite dal male perpetrato nei secoli da una parte della nostra umanità nei confronti di altri esseri umani. Una memoria che ci stringe lo stomaco e che ci strappa dal nostro quieto vivere almeno per questo giorno. Una memoria che ci parla in tante lingue di tanti paesi, di tanti uomini e donne e bambini del mondo. Una memoria fatta di ebrei, di armeni, di tibetani, di bosniaci, di zingari, di indiani d?america, di tutsi, di cambogiani, di Kurdi, di aborigeni australiani, di indios. Ma anche una memoria fatta di portatori di handicap, di omosessuali, di malati mentali, di asociali, di avversari politici, di mendicanti, di desaparecidos, di intellettuali. Tutti esseri umani legati tra loro da un unico filo rosso che avvolge il mondo nei secoli e che li distingue da tutti gli altri: la diversità.
Visitare Oswiecim (Auswichtz) in Polonia, o qualsiasi altro Làger nazista, è riempirsi gli occhi e il cuore del dolore, delle urla e delle lacrime delle persone che in quei luoghi sono state annientate nel silenzio. E non contano le cifre stratosferiche dell?olocausto quando poi sei di fronte alle baracche piene di valige, di occhiali, di capelli, di denti. Tutto diventa un pugno allo stomaco, l?udire di uno stridore nella mente, un nodo nella gola che ti fa piangere. Ti devasta. A Maidanek, un làger vicino a Lublino sempre in Polonia, vi è un rilievo alto diversi metri fatto solo delle ceneri delle migliaia di esseri umani uccisi e cremati nei forni. E neanche il vento adesso ha la forza di alzare un solo granello di quei resti. Ognuno di essi è pesante come un macigno, un monolito tagliente che ti si conficca dritto nell?anima.
Il ?Giorno della Memoria? oggi è tutto questo, non è solo Shoah, quando è già infinitamente esagerato solo pensare alla Shoah. Perché in questa giornata finalmente trovano posto i simboli, la vita, la memoria di milioni e milioni di esseri umani ammazzati, violentati, svuotati, usati come cavie, internati, torturati, fatti a pezzi, derubati, gassati, umiliati, polverizzati, nel nome delle ideologie e dell?assurdo di feroci e inauditi regimi fascisti e comunisti. Milioni e milioni di uomini che con il sacrificio della loro vita hanno riscattato la memoria e l?umanità per ognuno di noi che oggi ricordiamo.
A simbolo e ricordo di uno, di cento, di mille olocausti