Quando le strade sono in buono stato e il tempo è clemente quello che ci serve per viaggiare bene è soprattutto una guida autorevole che ci indichi con chiarezza la meta, un segno netto sulla mappa che ci aiuti a muoverci nella direzione giusta.
Quando invece le strade sono in pessimo stato e mal definite, il tempo è particolarmente ostile e le forze scarseggiano, spesso l’indicazione chiara della meta non basta più e quello che ci serve è soprattutto qualcuno che -conoscendo la meta- si metta al nostro fianco e ci aiuti a trovare il percorso per arrivarci, evitando le buche, aggirando i tratti troppo scoscesi, consigliandoci per il meglio nell’incertezza.
Ogni volta che vedo accapigliarsi sostenitori e oppositori di papa Francesco, o meglio sostenitori e oppositori del modo in cui papa Francesco interpreta il suo ruolo di capo della chiesa, mi vengono in mente le due modalità di fare il capo: “faro nella notte” e “compagno di viaggio”, modalità che non considero affatto contraddittorie ma complementari, entrambe utili ai viaggiatori per raggiungere la meta.
Ci sono viaggiatori attrezzati, preparati, muniti di navigatore, ai quali serve soprattutto aver chiaro il punto di arrivo e poi sanno trovare da soli la strada migliore; di solito questi viaggiatori sopportano con impazienza le deviazioni per lavori in corso, le soste, il traffico e i rallentamenti di chi viaggia meno speditamente.
Ce ne sono altri meno attrezzati, meno esperti, meno preparati che sono dubbiosi ad ogni bivio, incerti sui terreni impervi e continuamente bisognosi di essere rassicurati che la meta è comunque raggiungibile, magari -se necessario- “ricalcolando il percorso”.
La bravura di un capo non si misura su parametri assoluti, essa si rivela soprattutto nella capacità di trovare il modo più opportuno di coniugare i valori perseguiti con la particolare situazione storica che si sta vivendo. Chi si è trovato a condurre un gruppo eterogeneo sa quanto sia difficile riuscire ad armonizzare le diverse esigenze di chi è in cammino e di come occorra contemporaneamente incoraggiare i più deboli e chiedere ai più agili di avere pazienza: la missione prioritaria di chi conduce il gruppo non è quella di arrivare prima, ma di arrivare tutti.
Chi manifesta una irritata nostalgia della “chiesa-cattedra” e non apprezza la “chiesa-ospedaledacampo” è di solito chi dell’ospedale non ha bisogno (o ritiene di non averne), ma non vive sulla sua pelle la responsabilità dell’insieme, quella di chi -proprio perché è il capo- sente di dovere una risposta (o almeno una proposta) anche a chi fa fatica a formulare la domanda.
Tuttavia il vero errore è quello di contrapporre le due dimensioni del maestro e del pastore come se fossero alternative e contraddittorie; il vero passo in avanti da fare è aumentare la consapevolezza di stare tutti sulla stessa barca: chi rema e chi studia la rotta, chi valuta il vento e chi tiene pulito il ponte, chi prepara i pasti e chi soffre il mal di mare. Al capitano il compito di condurre la nave al porto successivo qualunque sia il tempo, qualunque sia l’equipaggio, qualunque sia il livello di litigiosità dei cartografi di bordo.