Giovedì sono stato avvicinato da una donna in ansia per il nipote che, laureato in ingegneria già da vari anni, non riesce a trovare lavoro e sta andando in depressione. Mi ha messo a disposizione quindicimila mila euro del pensionamento del padre se avessi facilitato l’assunzione del nipote nella società dove si era candidato. Quindicimila euro di corruzione o di disperazione?

E’ una domanda retorica? Mi piacerebbe, ma non credo.

Sarebbe retorica se la risposta fosse ovvia. E invece non lo è.

Troppo facile “corruzione”, troppo semplicistico “disperazione”, troppo giornalistico “entrambe”.

Sono tutte vere e -da sola- nessuna lo è.

Non è risolutiva la purezza assoluta astratta dalle situazioni concrete come non lo è rincorrere le singole situazioni senza alcun paletto di riferimento. La vera etica non è una questione teorica: si gioca sulla capacità di affrontare e risolvere i problemi.

Non si tratta (solo) di chiedersi quale sia –in teoria– la scelta più giusta in assoluto, si tratta di decidere quale sia –in pratica– il comportamento più giusto possibile.

Questo se si affronta la questione nella prospettiva di fare i conti con la realtà, diversamente finisce per diventare un simpatico esercizio da salotto.

Che farsi accreditare soldi all’estero sia rubare, minacciare violenza sia un crimine e truccare gli appalti sia mafioso non c’è da discutere, ma -definiti i paletti più evidenti- sul resto della partita non è facile avere idee chiare come quelle che tutti ostentano a partita finita.

No, non è facile per niente trovare il giusto equilibrio tra la teoria cristallina e la pratica quotidiana ed è illusorio che bastino leggi dettagliate, regolamenti di ferro e garanti santi a risolvere tutto.

La classe parlamentare italiana, diceva Gaetano Salvemini, «è per il 10 per cento migliore, per il 10 per cento peggiore e per l’80 per cento uguale al Paese che governa» QUI.

(PS – Non ho dato nessun IBAN svizzero alla donna in ansia per il nipote).

Buona settimana.

Amedeo Piva