Tutti abbiamo le nostre opinioni di cui siamo, comprensibilmente, strenui difensori e gelosi custodi. Quotidianamente media e internet ci forniscono abbondante materia prima su cui esprimerle e non ci mancano le occasioni per esternarle e difenderle.
C’è un’ampia scelta ogni mattina e sul bancone si può scegliere secondo gli interessi e l’umore: dalla pericolosità della carne rossa al gol in fuorigioco, dalle dimissioni del sindaco all’ennesimo naufragio di profughi, dall’omelia del papa ai bombardamenti in Siria. Tutto sullo stesso bancone: drammi e feste, sangue e cibo, dettagli e fondamenti. Una volta scelta la “merce” si passa alle opinioni che -logica vorrebbe- dovrebbero formarsi sulla informazione ricevuta, sul “fatto” di cui vorrebbero essere un giudizio, tanto più compiuto e convinto quanto più l’informazione si chiarisce e si completa. È qui che qualcosa non funziona. L’informazione iniziale, invece di chiarirsi e completarsi si frammenta e nel giro di poche ore si divarica in favorevoli e contrari, guelfi e ghibellini, rumorosi cori di curve contrapposte; e così, invece di farci una “nostra” opinione, scegliamo semplicemente la curva per cui tifare e invece di dire “io penso” diciamo “io sto con”. La difficoltà (a volte l’impossibilità) di capire come stanno effettivamente le cose ci spinge a schierarci rinunciando ad approfondire, a cercare, ad ascoltare. Così facendo non è più il fatto a generare l’opinione, ma l’opinione a precedere il fatto, a generare una narrazione compatibile con la tesi che vogliamo difendere o con quella di chi ci è simpatico. Uno studio dell’IMT di Lucca afferma che smentire una notizia falsa non ha alcun effetto presso chi è comunque deciso a credere che quella notizia sia vera. Purtroppo siamo affezionati più alle nostre opinioni che alla verità dei fatti ai quali si riferiscono e senza rispetto per la verità non si va lontano.
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