Se fossimo orsi, ricci o marmotte il letargo non sarebbe una patologia, il tempo lavorerebbe a nostro favore e per la primavera basterebbe aspettare. Ma non siamo né orsi, né ricci, né marmotte, il tempo lavora contro di noi e la primavera non è una questione di calendario.
Presentando il 49esimo rapporto Censis sullo stato sociale del Paese, con una delle sue sferzanti metafore, Giuseppe De Rita descrive l’Italia come “una società in letargo esistenziale, un Paese non più capace di progettare il futuro, ne’ di produrre interpretazioni della realtà, per cui finisce per restare prigioniero della cronaca“.
Niente di cui stare allegri, dal letargo bisogna svegliarsi: per quanto brutta e inospitale possa essere la situazione, sarà sempre meglio che rinunciare a giocare la partita.
Da dove cominciare? De Rita identifica due cause del letargo: l’incapacità di progettare il futuro e quella di produrre interpretazioni della realtà. Sono d’accordo ma le scambierei di posto: è la nostra incapacità di interpretare la realtà che ci impedisce di progettare il futuro. Non sappiamo più leggere la trama degli eventi, trarre insegnamento da quello che succede, decodificarne il senso: incapaci di giudicare la realtà, non riusciamo ad immaginarne uno sviluppo positivo, finendo spesso per allargare le braccia e rifugiarci nel letargo privato.
Dobbiamo invece tornare a correre il rischio di interpretare, di giudicare, di immaginare la trama della storia e il capitolo successivo; solo così possiamo creare lo spazio e la speranza per progettare il futuro. Non abbiamo niente da perdere: rischiare di sbagliare interpretazione è meno grave che rinunciare ad interpretare. Abbiamo mitizzato la sicurezza e la prudenza fino a considerare la paralisi una forma di saggezza, dobbiamo invece respirare profondo e guardare avanti per evitare che -come dice De Rita- la cultura collettiva finisca per essere “prigioniera della cronaca”.
A differenza degli orsi, dei ricci e delle marmotte, noi la primavera la dobbiamo progettare. E dobbiamo crederci.