Quando i marocchini ti guardano, in Italia, spesso nemmeno te ne accorgi.
Poi ti trovi all’aeroporto di Casablanca e quei visi, quelle ombre,
quelle pennellate gianduia che sei abituato a vedere e a non guardare,
sono tutto e sei tu che scompari, in un certo senso, al tuo stesso sguardo.
Allo stesso tempo, ti rendi conto che l’oliva nera in mezzo alle olive
verdi, stavolta, sarai tu.

L’esempio, vi dirò, non è proprio casuale, visto che le olive da
queste parti mancano solo nel caffé.

Procedi verso la dogana e le guardie alzano a malapena lo sguardo- ci
hanno fatto l’abitudine da un pezzo alle turiste scollacciate, ma
l’impressione è nulla li convinca che una donna, specie se
occidentale, sia degna di grande rispetto.
Poi leggono sulla carta di sbarco la qualifica “cooperante” e allora
un’occhiatina me la danno.
« Vous ètes du Corp de la Paix ? »
No- rispondo- ma una cosa del genere.
E penso- silenziosamente- che la “cosa del genere”, l’organizzazione
per cui lavoro attualmente, è qui per aiutare a “sviluppare lo
sviluppo”. Bel contrasto. Non lo dico ad alta voce, però. Credo che il
giochino di parole non verrebbe apprezzato.
Il mio compagno di viaggio sembra Rambo versione pacifista: fascetta
della Croce Rossa, postura assolutamente impeccabile. L’aspetto è
quello di uno addestrato ad uccidere: non proprio. E’ un agronomo.
Simpatico e buontempone. Mai fidarsi delle apparenze.
Non siamo qui per il Marocco “europeo” che viaggia ad alta velocità –
Casablanca sembra Milano- ma per il Marocco centrale, l’incompreso, il
negletto. Quello da cui viene l’emigrazione marocchina in Italia. La
regione dei Beni Meskine, dal nome dell’etnia che la popola.
Settat, la cittadina più vicina alla sede del progetto, è molto poco
turistica ma non è sperduta: è, solo, una delle città più marocchine
in cui mi capiterà di imbattermi. Ci giurerei, ma me lo confermano.
Stranieri non ce ne sono, gli europei sono in tutto 7. Tutto, dai
negozi ai visi delle persone, è rigorosamente marocchino, con
l’eccezione di qualche polveroso flacone di crema neutro Robert’s
ammonticchiato sugli scaffali delle botteghe. Naturalmente il
progresso avanza rapido: in casa abbiamo una fantastica ADSL e stanno
per aprire un supermercato francese dal nome piuttosto evocativo,
LABEL VIE. Il gioco di parole è chiaro, peccato che per me il
significato letterale (la vita di qualità, la vita di marca, dal significato della parola LABEL) non riesca ad avere connotazione positiva.
A me, che di progresso ne ho fin sopra ai capelli, suona come “la vita
etichettata”. E si che il progresso lo giudico necessario. Ma, come
diceva mio nonno, il troppo stroppia e la virtù sta sempre nel mezzo:
trovarlo però, quel mezzo.

Dalla descrizione, il nostro luogo di lavoro sembra tutt’altro che
impervio. C’è il trucco: Settat è solo una sede secondaria, la vera
sede del progetto- nonché luogo in cui si passa più di metà della
settimana- è immerso in una campagna semidesertica. Incredibilmente,
dista solo mezz’ora da Settat (in chilometri è davvero dietro
l’angolo, ma non si tratta di strada asfaltata bensì di pista. Per chi
non lo sapesse, una pista è.il miglior sistema al mondo per restare
impantanati nel fango).Viviamo in una casa ex- colonica ristrutturata
alla buona, in maniera da non creare eccessiva distanza con la
popolazione. Elettricità non ce n’è, solo un paio di gruppi
elettrogeni. Acqua, direttamente dal pozzo- e se per sbaglio te la bevi, hai vinto un mal di pancia- e
nulla intorno se non campi coltivati e pascoli, per quanto la siccità
lo permetta. Le donne, tramite il progetto, partecipano ad attività
di alfabetizzazione e a vari altri corsi di formazione. Si svolgono
anche attività di animazione per i giovani- cinema, teatro etc. Il
tutto è complicato dall’enorme distanza tra i vari DOUAR (minuscoli
villaggi che compongono un Comune) per cui la struttura del progetto
si basa su una rete di AGENTS DE SUIVI incaricati di contattare porta
a porta le persone, spiegare le attività e invogliare a partecipare.
Per permettere alle donne di incrementare il reddito familiare e
favorirne l’indipendenza, è stata creata una cooperativa che produce
tappeti. Splendidi, tra l’altro. E splendide sono queste donnine,
piccoline, sdentate a volte ma sorridenti come nei nostri migliori
sorrisi, che tessono, mi baciano un numero imprecisato di volte e poi
abbassano lo sguardo timide davanti a Giulio,l’agronomo. Ogni tre
passi mi offrono thè alla menta dolce da star male, ma non mi salta
mai in testa di rifiutare: se vado avanti così tra tre mesi ho il diabete, matematico.

Delle attività agricole e di allevamento ci sarebbe da dire per ore,
ma è meglio che lo faccia qualcun altro: io distinguo a malapena un
cammello da un dromedario.

Solo qualche impressione, così, per darvi un’idea. Sono appena
arrivata, in questi giorni mi sono “ambientata” ed ho goduto della
meravigliosa ospitalità araba, che è davvero un peccato non conoscere
e riconoscere. Il lavoro – è in programma una riorganizzazione- si
comincia ad impostare domani, e su quello, a occhio e croce, avrò
parecchie perplessità…vedremo. Intanto vale la pena di essere qui.