C?è un modo nuovo di sopravvivere al Natale: tra cenoni natalizi, telefonate a parenti che non vedi e non senti mai, bambini isterici che con ansia aspettano di aprire i regali , tombole noiose ecc., se tua figlia ti concede di leggere il libro che ti ha regalato si può venirne fuori in maniera indolore.
Magari se leggi un libro scorrevole, non troppo lungo con spunti interessanti di approfondimento, con la pace derivante dall?immunità concessa dai parenti per il libro donato dalla primogenita, il tutto diventa anche piacevole.
Devo comunque affermare che la motivazione principe che mi ha portato a leggere ?venti sigarette a Nassirya? di Francesco Trento ed Aureliano Amadei? Einaudi editore, in tre ore il giorno di Natale è derivante dall?affermazione di una amica di mia figlia che considerava il regalo troppo estremista per me.
Francamente cosa c?era di estremista nel libro ancora me lo chiedo ma penso che nell?immaginario di una ragazza di 15 anni un padre, per quanto con idee progressiste, deve per forza essere reazionario e conservatore.
Colto nel più intimo del mio ego mi sono tuffato nel libro con impeto mai riscontrato prima.
Il libro scorre via con facilità dovuta allo stile letterario giornalistico dell?autore, abbastanza avvincente perché riscontri un vissuto doloroso, vivo, e pienamente presente nel momento della narrazione.
Il libro racconta di un regista cinematografico (l?autore) che viene spedito in Iraq per visionare dei luoghi per un cortometraggio e viene coinvolto in maniera casuale nell?attentato del 12 novembre 2003, rimanendo ferito gravemente tanto da rimanere disabile.
L?attentato, i momenti di confusione successivi, il ricovero nell?Ospedale militare degli odiati americani; l?autore si professa no-global, la perdita dell?amico, e della scorta che lo stava accompagnando vengono descritti con sobrietà senza eccessi di sentimentalismo e retorica che di solito accompagnano opere letterarie di questo tipo.
Ma la cosa che più colpisce, e che sposta il libro da una tipologia narrativa in una dimensione più da denuncia è il ritorno in Italia e tutto quello che ne consegue.
Si sa l?unità del paese è fondata su valori come il patriottismo, e che questo non può che scaturire nella retorica ma quanto affermato dall?autore aiuta a riflettere soprattutto sul sostantivo eroe.
? Il traffico scorre lentissimo e la folla in piedi ai bordi delle strade, applaude rispettosamente. Ritmicamente, urlano. Eroi!
Continuo a chiedermi cosa cazzo ci sia di eroico nella nostra condizione. Nessuno di noi stava estraendo bambini da una casa in fiamme. Nessuno di noi stava salvando una principessa o salvando un drago. Io e quelli che erano con me stavamo cercando una mappa della città, e masticando qualche battuta sulla Marescialla. E un secondo dopo non eravamo più lì. Nessuno di quei morti, e nessuno di quei feriti, tranne forse quel poveraccio di Cintura, un soldato ferito nelle operazioni di soccorso ma non creduto dai vertici militari, stavamo facendo nulla di eroico.
Abbiamo solo avuto la sfiga di trovarci in mezzo nel momento sbagliato. E noi, noi che siamo qui a raccogliere questi assurdi applausi, abbiamo solo il culo di non esserci rimasti secchi.?
Seguono inoltre sciacallaggi di false testimonianze per l?accaparramento di medaglie al merito per atti mai compiuti da parte di alcuni sopravvissuti.
Certo bell?ingrato questo Aureliano Amadei, torna in Italia come un Eroe e con supponenza ed anche un po? di snobismo scrive che le vittime di Nassirya non hanno compiuto atti eroici.
Ma forse ha ragione lui, i morti di quella orrenda strage forse in quanto vittime non sono eroi.
Forse si è voluto nascondere con questa retorica patriottica il tragico errore politico e di valutazione compiuto dai nostri governanti e dai vertici militari.
Chissà se la caserma distrutta in condizioni di sicurezza normali ovvero con dissuasori mobili posti all?entrata, con muri all?altezza di tale nome, con sentinelle attente e ben armate avrebbe resistito all?assalto del camion-bomba.
Chissà se senza la favola del peacekeeping in un paese in guerra e quindi con truppe con la percezione del pericolo costante si sarebbe mantenuto alto il livello di guardia e di attenzione e magari salvato qualche padre di famiglia a scapito di qualche eroe risparmiandoci inoltre quei funerali che sembravano una parata.
Ma forse tutto questo non era possibile perché noi non possiamo per costituzione andare in guerra, e se inviamo le nostre truppe è per la pace, quindi devono essere non armate adeguatamente, devono sorridere, devono farsi amare dalla popolazione ed aggiungo io devono morire per essere considerati eroi.
La retorica patriottica a copertura degli errori di Stato