L?Italia è inquieta: basta leggere il giornale tutti i giorni per rendersi conto di quanto profondo sia il disagio e la disperazione del Paese, al di là delle valutazioni che ciascuno di noi può fare sulla capacità della nostra classe dirigente (di Governo e di opposizione) di tirarci fuori dal pantano in cui sembriamo esserci ritrovati quasi senza accorgercene, scivolando gradatamente, col fango che appesantisce le membra e sale lentamente verso la gola.
Gli esiti della battaglia politica di qualche mese fa stanno già consumando gli effetti che si auspicavano catartici, e i problemi nuovi ed antichi tornano all?angoscia: l?inflazione sale, il modesto benessere che credevamo di aver conseguito (almeno a livelli medi) si contrae dolorosamente, anche i risparmi sembrano posti in discussione sotto l?oscura minaccia della crisi finanziaria mondiale e dell?erosione del valore della moneta, soprattutto verso i consumi vitali (ormai inclusivi di benzina ed energia), la stessa domanda di sicurezza (oscuramente percepita e per certo fortemente stimolata) sembra scossa dalla natura dei provvedimenti annunciati, la fiducia nella giustizia appare definitivamente affossata dai clamorosi dibattiti di questi giorni, la natura stessa del nostro rapporto con gli altri (siano essi zingari, immigrati o paesi concorrenti) viene posta in discussione, il costume e la pubblica moralità sembrano toccare livelli ai quali l?indifferenza prende agilmente il posto dell?indignazione. Tutto sembra scivolare verso il pantano, senza che si riesca ad individuare con certezza il responsabile dello scivolamento (la globalizzazione? Il mercatismo? L?Europa ormai bollata col ritornello insulso della burocrazia? Il premier ossessionato dai magistrati o i magistrati ossessionati dal premier? La sinistra rancorosa e sognatrice, pacifista e bellicosa, o la destra reazionaria e nordista? ): tutto e niente, tutto e il contrario di tutto, solo il fango che cresce lentamente spegnendo ogni capacità di reazione, ogni scatto di reni, ogni aspirazione di bene.
Occorre, urgentemente, scrive De Rita (Il corriere della sera, 30.6.08), rilanciare le speranze, al di là delle paure, come anche noi dicevamo non più di sei mesi fa (La bella addormentata nel losco).
Già, credo che gran parte di noi ne sente la nostalgia, insieme ad un certo senso di nausea che ci pervade quando leggiamo i giornali o ascoltiamo in televisione i sempre più banali resoconti di un dibattito politico e culturale sempre più stereotipato e ripetitivo, sincopato dalla necessità di far dire a ciascuno la sua quotidiana pomposa banalità nell?intento di ottundere e di tipizzare le opinioni.
Ma la nostalgia da sola non basta: siamo troppo smarriti per ritrovare da soli la via del ritorno, come tanti Ulisse che si muovano per mare senza avere una pallida idea della rotta, attenti solo a galleggiare senza un vero desiderio di Itaca, come mangiatori di loto sopraffatti da profondo sopore.
Abbiamo, forse, un disperato bisogno di un mito da inseguire, di un indiscusso esempio da imitare, di qualcuno in cui possiamo riconoscere un ideale incontaminato, una natura umana pura, una bontà quasi primigenia, un agire disinteressato: ecco, forse abbiamo bisogno di un santo! di un santo moderno, non un?icona da santino, una specie di nuovo Thomas More, un nuovo maestro di Diogneto che, da cristiano e da laico, sappia incarnare i suoi stessi insegnamenti:

? I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. ?

[Anonimo del II secolo, Lettera a Diogneto]

Capisco che desiderare un santo per tentare di salvare un paese possa apparire, ad un tempo stesso, una provocazione (sento già rullare i poderosi tamburi della laicità) ed un gesto di profonda sfiducia nella società civile: posso escludere ? forse non creduto ? l?intento di provocare (c?è già troppo rumore dattorno !); non posso negare invece un affaticato senso di sfiducia verso ciò che vedo agitarsi nella nostra società?.forse è solo il peso della stagione (ma dell?anno o della vita?).

1° luglio 2008