Faccio una premessa: non mi intendo molto di partiti né ho in programma di fare un serio sforzo per impadronirmi di questa materia che mi pare sempre più esoterica; se mi induco a scriverne brevemente è solo per stimolare un dibattito che, mi pare con molta maggiore competenza di me, ha avviato Torella su queste news e che potrebbe essermi utile per capirne di più. Provo a ragionare come se l?Italia fosse un paese normale (anch?io faccio una citazione?. dotta), come se potessero placarsi le radicalizzazione personalistiche e reciprocamente demonizzanti, come se fosse veramente possibile prendere atto che l?Italia di oggi è un paese profondamente diverso da quello di qualche decennio fa, meno ideologizzato, più pragmatico, più moderno per tanti aspetti ma anche più scettico, più indifferente alla politica, forse più egoista o edonista.
Procediamo al ragionamento partendo, in ordine di inutilità decrescente, da alcuni caratteristici armamentari di certo (residuale) ritualismo politico:
? la cosa più inutile, in assoluto, mi paiono i cosiddetti programmi dei partiti: nessuno (se non gli addetti ai lavori, o meglio, gli addetti ai non lavori) li legge o li crede; essi vengono attuati solo in parte e confusamente, tanto più quanto sono dettagliati. Ormai, più o meno tutti vogliono le stesse cose ( e, per certi aspetti che qui sarebbe lungo discutere, non potrebbe essere diversamente) anche se fingono di volerne diverse;
? poi vengono, in ordine di inutilità decrescente, i dibattiti interni ai partiti, incomprensibili ai più, autoreferenziali, convenzionali e noiosissimi;
? poi i dibattiti parlamentari: non li segue nessuno e nessuno se ne interessa, salvo i TG della Rai e fatte salve le rare occasioni in cui i parlamentari si prendono a botte. Il vero dibattito politico (qui la parola ?vero? ha un significato del tutto parziale) si svolge negli infiniti talk shows televisivi, spesso purtroppo fatti di confusi propagandismi il più delle volte gridati e interrotti prima che qualsiasi ragionamento, se anche viene tentato, sia portato a termine; oppure sui giornali.
Supponiamo che ciò sia vero (magari mi sbaglio e ci sono milioni di Italiani interessatissimi a sapere che cosa ha detto in parlamento il deputato/peone del collegio di Roccacannuccia in sede di approvazione del comma 302 dell?articolo unico costituente la legge finanziaria);
che conclusione possiamo trarne in ordine al ruolo dei partiti?
? Non certo che sono inutili, se no come si aggregherebbero i consensi necessari a formare una volontà parlamentare?
? Ma certo, secondo me, che nella loro forma attuale sono obsoleti: lo sono nelle loro ritualità contraddittorie (le primarie, per esempio, che vorrebbero ricondurre alla base la mediazione fra le diverse istanze, che invece non può che essere fatta al vertice); nelle loro esaltazioni assembleari (vedansi congressi super emozionali); nelle loro strutture territoriali (al tempo di Internet che senso hanno le sezioni o i circoli locali?); nel loro linguaggio e nei loro dibattiti fra vestali della politica; praticamente in quasi tutto!
E allora che cosa altro potrebbero essere? Forse, provo a dirlo con qualche timore dei fischi, delle aggregazioni basate su macro identità valoriali, come cerchi solo parzialmente sovrapposti, quasi un disegno fatte dalle prevalenze di identità non disgiunte da accettate diversità. Mi spiego con un grafico, a costo di risultare astratto (vedi l?immagine).
Se il partito del futuro fosse così pensato, non sarebbe più facile, più costruttivo, più dinamico il confronto fra maggioranza ed opposizione? Non sarebbe più semplice e più diretto il modo dei partiti di presentarsi agli elettori? Non sarebbe più chiaro e meno drammatico il crearsi di maggioranze diverse da quelle precostituite, su singoli aspetti delle tecniche legislative che non pongano in questione le identità valoriali? Non ne nascerebbe una democrazia più attenta alla pesatura delle diversità dei valori e più sensibile alle convergenze pragmatiche?