?Io ne ho viste cose che vuoi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione… e ho visto i raggi Beta balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser… e tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. E’ tempo di morire.? (Blade Runner di Ridley Scott, 1982).
Spesso mi capita di concordare con Felice Celato. Quest? appello (rinnovato) a chiudere il rubinetto delle corde vocali mi trova assolutamente d?accordo (sono anni ormai che teorizzo la filosofia della comunicazione del silenzio, soprattutto nell?era della banalità, e della politica gridata in cui stiamo vivendo). Ma se poi proprio bisogna parlare (o scrivere: la scrittura in fondo non implica suoni) preferisco parlare coi numeri. Ormai nessuno parla più coi numeri: al massimo i numeri vengono indicati ? per lo più sbagliati (ma riconosciuti tali solo dai pochi che conoscono il merito dei problemi) ? e sono essenzialmente strumentalizzati per confermare idee preconcette. Per questo i miei numeri sono ?terzi? cioè sono scelti in base alla ?non appartenenza?.
Vado ogni anno alla presentazione del Rapporto Censis sulla situazione del Paese. Anche quest?anno non ho perso l? appuntamento. Ma per la prima volta ho visto un De Rita in versione ?esistenzialista?, scoraggiato sul presente e sul futuro dell?Italia, autocritico.
Autocritico perché lo scorso anno l?Italia pensata dal Censis era un?Italia dinamica, spinta dalla crisi economica al forzato rinnovamento, obbligata a scaricare finalmente la zavorra in mare. Apriva l?introduzione al Rapporto dello scorso anno: ?Le difficoltà che abbiamo di fronte possono adeguatamente sfidarci?possono avviare processi di complesso cambiamento. Possono, in una parola spingerci ad una seconda metamorfosi?. ?L?Italia in marcia verso la seconda metamorfosi? sintetizzava appunto il titolo del comunicato stampa.
Un anno dopo questa profezia è stata smentita dallo stesso autore. ?Quel ?non saremo più come prima? che un anno fa dominava la psicologia collettiva è mutato in un ?saremo sempre gli stessi?. Abbiamo resistito alla crisi riproponendo il tradizionale modello adattativo-reattivo?. Insomma l?auspicata metamorfosi non c?è stata: ?siamo in una società replicante?. Eppure, anche in società replicanti come la nostra qualcosa si muove. Si muove il terziario, duramente colpito dalla crisi, e costretto a sviluppare nuove forme di sopravvivenza economica. Si muove il sistema d?impresa, riconoscendo un ruolo di leadership al settore più dinamico e intelligente dell?imprenditoria nazionale, si muove l?idea della rappresentanza, sempre più in crisi per la necessità diretta di autorappresantazione dei propri bisogni, senza intermediazioni (qui il grande aiuto lo offre internet e i nuovi sistemi di comunicazione) e che si porta appresso la crisi di tutte le forme associative fin qui conosciute: il partito, il sindacato?
Siamo figli orfani di tre cicli culturali complessi: il ciclo risorgimentale, che ha unito il Paese, il ciclo riformista del dopoguerra, che ha alimentato la sua crescita e la sua modernizzazione. Poi c?è stato il ciclo ?del protagonismo individuale?, del lavoro autonomo, delle partite IVA, della microimpresa, che prima ha portato dinamismo e voglia di rischiare in proprio, ma che ora, nella sua fase declinante, sviluppa solo egoismo, disuguaglianze, guerre tra poveri. I risultati perversi di quest? ultimo ciclo , il ciclo dell?individualismo e del protagonismo della sopravvivenza a tutti i costi, li viviamo oggi in una parabola discendente, anche eticamente, per il Paese. Impossibilitati a tornare indietro, senza orizzonti, senza una governance politica dei fenomeni, al buio, andiamo avanti, ci lasciamo andare avanti, aggrappati al nostro nocciolo duro: la famiglia come micro sistema di welfare, la piccola media impresa come asse del nostro peculiare sistema economico, e, soprattutto, il fai-da-te, vero cuscino anticrisi, basato sul sommerso (quasi il 20% del PIL) e sull?evasione fiscale nel 2007 al 27% del PIL). Replicando noi stessi, incapaci di uscire dalla ?mucillagine? che ci avvolge, soli di fronte all?incalzare della crisi, orfani di una politica retroflessa da quindici anni in problemi unicamente personali e senza orizzonti progettuali di largo respiro.
Tre sono i temi centrali che vorrei approfondire ed estrapolare dall?analisi del 43° Rapporto Censis: la famiglia, il lavoro e la formazione.
La famiglia
La mannaia della crisi ha colpito duramente le famiglie. Per quasi il 30% delle famiglie italiane, il reddito a disposizione non è sufficiente a coprire i fabbisogni mensili di consumi. Come tutte le medie il dato del Sud è molto più negativo e saliamo al 37%. Chi aveva risparmi è stato costretto ad intaccarli (41%), o posticipare i pagamenti (22%), chi non aveva risparmi ha dovuto chiedere aiuto ad amici e parenti (10,5%), istituti di credito (8,9%). L?83% delle famiglie italiane negli ultimi 18 mesi ha modificato le abitudini alimentari (al ribasso s?intende). Più il reddito è basso più si sono tagliati i consumi sanitari.
Le più penalizzate dalla crisi sono state le famiglie con figli a carico. L?indice di rischio di povertà per le coppie con 3 o più figli a carico è doppio per l? Italia rispetto ai Paesi UE. La crisi non si è trasformata in dramma solo in quanto oltre l?80% delle famiglie italiane sono proprietarie della casa in cui alloggiano (o abitano alloggi in usufrutto gratuito). Una mano l?ha poi data la disinflazione che ha lasciato i prezzi al consumo più o meno invariati.
Il lavoro
L?occupazione in Italia, fino a giugno 2009, si è ridotta solo dell? 1,6 %, vale a dire sono stati persi 378.000 posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione è pertanto salito dal 6,8 al 7,4. La consolazione è che peggio hanno fatto Regno Unito e , soprattutto, la Spagna (dove sono stati persi 1,5 milioni di posti di lavoro). La crisi ha colpito soprattutto i lavoratori meno tutelati (le diverse forme di lavoro a termine (-9,4%), a progetto (-12,1), occasionali (-19,9)). Crescono a dismisura le partite IVA (+ 16,3%), una mobilità forzata dovuta alla sostituzione dei contratti flessibili con forme esternalizzate di lavoro. Se comunque il lavoro dipendente a tempo indeterminato è rimasto più o meno agli stessi livelli su scala nazionale, non si può non rimarcare che il Sud è sempre l?area più penalizzata, avendo registrato una perdita di 271.000 posti (-4,1%) e un tasso di disoccupazione del 12%.
Le ore di cassa integrazione sono passate da 77 milioni del 2005 a 369 milioni.
La crisi del lavoro è andata di pari passo alla crisi della produzione, in particolare nel settore manifatturiero (-24% nelle esportazioni) nei primi 8 mesi del 2009. Bene è invece andato il settore meccanico, tessile, la plastica. La grandi crisi ha invece colpito il terziario con ? 10,1% nei primi 9 mesi dell?anno (in particolare i comparti legati ai trasporti, immobiliari, attività finanziarie).
I più penalizzati sono ovviamente i giovani e le donne. A ottobre il tasso di disoccupazione giovanile UE è risultato pari al 20,6%, decisamente inferiore a quello dell’Italia, dove si viaggia al 26,9%. L’occupazione femminile raggiunge le 9.298.000 unità, con una riduzione rispetto a settembre dello 0,3 per cento (-30 mila unità) e dello 0,7 per cento (-67 mila unità) rispetto ad ottobre 2008.
La formazione
Nell?ambito di un settore così nevralgico come la formazione va evidenziato un sentimento di scetticismo che accomuna docenti e allievi. L?80% dei giovani tra i 15 e i 18 anni si è chiesto cosa ci sta a fare a scuola, il 92,6% dispera di trovare un lavoro adeguato al proprio titolo di studio, anche se elevato, il 91,6% ritiene che per trovare lavoro sia insufficiente la propria preparazione se non in presenza di una rete di relazioni adeguate. Il 63,9% degli occupati ritiene che gli studi effettuati siano inutili alla professione svolta. Il 75% dei laureati e l?85% dei non laureati ritiene che in Italia sia praticamente impossibile trovare un lavoro adeguato alla propria preparazione scolastica. Lo stesso smarrimento ha messo le radici nel corpo docente tra tagli e pseudoriforme, con l?unico dato certo di una retribuzione di partenza inferiore del 17% sulla media UE e con un divario crescente con la progressione di carriera (+21% per i docenti italiani, +36% per i colleghi europei). Secondo alcuni dati del 2005, quindi non recenti ma comunque significativi, gli analfabeti in Italia erano circa 6 milioni , il 12% della popolazione, contro il 7,5% dei laureati. E ancora: il 19,3 dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni è senza diploma non è più in formazione. In compenso sta cambiando la composizione degli alunni nelle classi per nazionalità. Se nell?anno scolastico gli alunni con cittadinanza non italiana iscritti erano poco meno di 200.000 ora sono 628.000. La spesa pubblica per l?istruzione con tutto ciò resta una delle più basse dei Paesi OCSE.
Qui concludo.
Ho voluto solo porre alcuni flash di problemi concreti per il 2010, parlando con numeri, per evitare di allinearmi all?Homo Garrulus, descritto da Felice Celato. Sono tre aree di problemi centrali per l?Italia che verrà. Se in questi settori strategici prevarrà l?Italia replicante, vale a dire, tagli al welfare, nessun sostegno alle famiglie, flessibilità spinta al mercato del lavoro giovanile senza garanzie, tagli alla formazione e alla ricerca, significherà non scommettere sul futuro e incrinare la coesione sociale. Per non parlare poi di altri temi, di altrettanta serietà, che ci aspettano per il 2010 (sicurezza, integrazione, riforme istituzionali,?). Si lascerà che la società replicante abbia il sopravvento, si affidi anche per il 2010 agli stessi stereotipi (la famiglia, il sommerso, il fai-da-te) che hanno consentito fin qui il tiriamo-a-campare a causa di un vuoto di guida, di assenza di governance della crisi?
Sarà la politica a dover individuare le giuste risposte. Ci riuscirà questa classe politica litigiosa e autoreferenziale, incartata da 15 anni a dibattere sempre sulle stesse cose (processo sì, processo no, bicamerale sì, bicamerale no), con lo stesso linguaggio, con le stesse persone?
Non lo ha fatto nel 2009. Dubito che nel 2010 la politica riesca ad assumere con uno scatto d?orgoglio un ruolo trainante. Anche la politica italiana è replicante di se stessa (replicando dagli anni Novanta il peggio di sé).