Siamo alle soglie di una stagione congressuale quanto mai densa ed impegnativa per la Margherita, tanto sotto il profilo della discussione ideologica che dal punto di vista puramente pratico, operativo. A tutti i livelli si dovranno infatti esprimere quei nomi che orienteranno l’azione politica in tutta la fase costituente del Partito Democratico, fino al definitivo abbraccio con la componente socialdemocratica. Dovrebbe dunque essere questo un momento in cui il dibattito e il confronto tra le persone che domandano di essere investite di questa grande responsabilità, si fa non solo più acceso ma anche più aperto alle istanze che provengono dal basso, dagli iscritti e più in generale dal nostro elettorato, a cui stiamo chiedendo di seguirci in un progetto di condivisione di intenti e di valori politici di portata epocale.
Eppure, proprio a Roma, questa delicata fase della vita democratica e di partito si sta consumando in un silenzio che definisco sconcertante: nessuna porta si è aperta sinora al confronto e al dibattito con i cittadini e rare sono state anche le occasioni di incontro per i quadri dirigenti. Solo sporadicamente dalle stanze del potere si apre uno spiraglio dal quale si consegnano alla stampa nomi di persone più o meno note al popolo della Margherita, ma di cui restano pur sempre vaghe contesti e ragioni che ne hanno determinato l’investitura. A ciò si aggiunga che a poche settimane dal congresso cittadino restano ancora incerti tempi e modalità di svolgimento: certo è che il nuovo coordinatore romano non potrà essere nominato tramite il voto dei delegati eletti nei congressi municipali, per il semplice fatto che non si sono mai tenuti, e ad esprimerlo saranno invece, non immagino con quale strumento democratico, tutti i 50.000 iscritti, riuniti un’unica platea.
Non mi sembrano davvero queste le migliori stelle sotto cui intraprendere un viaggio lungo e impegnativo quale si può immaginare la fase costituente di un nuovo soggetto politico, impresa che nel caso specifico richiederà particolare attenzione nel conciliare non tanto la storia, quanto strutture e abitudini politiche consolidate all’interno dei Democratici di sinistra come della Margherita.
Anche sotto questo profilo conviene guardare a Roma con la particolare attenzione che meritano le esperienze politiche maturate sul territorio, dove la politica diventa prima di tutto esercizio quotidiano e dove il contatto con la base si fa diretto, quasi palpabile. Come in poche altre realtà nazionali, nella capitale si sta infatti sperimentato per la prima volta la soluzione del gruppo unico dell’Ulivo al consiglio comunale e nei municipi, che si stanno rivelando veri e propri cantieri in cui si costruisce giorno per giorno il partito democratico. Ad oggi, i segnali che arrivano dagli eletti della Margherita raccontano di uno stato di sofferenza molto diffuso: solo in casi isolati si parla di difficoltà oggettive nell’ esprimere un’azione politica unitaria, mentre costantemente si lamentano le modalità con cui si continua a gestire il potere all’interno dei gruppi unitari, dove i Dl risultano invariabilmente relegati a ruoli secondari, di “vice”, in una logica di spartizione delle cariche che difficilmente sembra tener conto delle capacità personali e della base di consenso dei singoli candidati.
I rischi che si intravedono all’orizzonte del Pd sono dunque chiari: scarso rispetto delle differenze interne, scarso rinnovamento del metodo e della classe politica, scarso coinvolgimento e dunque scarso radicamento alla base.
Il ‘dibattito costituente’ che si è aperto in questo e in altri quotidiani nazionali ha avuto senza dubbio il merito di approfondire tante e cruciali questioni, molte delle quali tutt’ora aperte, sul futuro del Pd, chiamando in causa voci e penne autorevoli e aprendo al pubblico dei lettori quantomeno uno spazio di riflessione intorno ad un momento cruciale per la storia della democrazia italiana. Proprio per questo mi sento di chiedervi uno sforzo ulteriore: e precisamente quello di aprire anche un fronte di dibattito improntato sulle esperienze concrete, territoriali, personali, che possono fornire indicazioni preziose sui metodi e sulle regole che dobbiamo darci per aprire davvero un nuovo corso politico.
Se il dibattito costituente sul Pd è questo rischiamo