Ma il PD vuole essere partito plurale o insoffe¬rente al dissenso ?
Pierluigi Battista, in un suo editoriale nel Corriere della Sera del 16.10.2008, scuote il lettore del Pd sulle dichiarazioni di espulsione della >Binetti si stanno sollevando in questi giorni.
Riporto tre paragrafi dell?articolo che invito a leggere (articolo)
e aggiungo in coda alcuni commenti degli amici.
?Non è in discussione il merito delle posizioni della Binetti: nel merito lei potrebbe avere torto marcio, ma non è questo il pro¬blema (principale). Il problema è che un partito orgoglioso di por¬tare da due anni a questa parte un vento di novità si sta incatti¬vendo sul dilemma se «cacciare» o tollerare obtorto collo una sua parlamentare che ha più volte manifestato la sua opinione dis¬senziente dal partito sulle que¬stioni «eticamente sensibili».
Colpisce l?accorata sincerità con cui Paola Binetti ha confidato ad Aldo Cazzullo che la intervista¬va per il Corriere che lei è una cat¬tolica di centro che guarda a sini¬stra, che per lei l?amore per la giu¬stizia sociale costituisce un impe¬dimento assoluto a un suo even¬tuale passaggio con la destra, che per lei persino Casini è colpevole per essersi associato alla destra lungo quasi un quindicennio.
Ma i grandi parti¬ti che aspirano a governare gli ita¬liani (e che addirittura, come nel caso del Pd, nascono essi stessi come una fusione di anime e di sensibilità diverse) sono tenuti a offrire di sé un?immagine acco¬gliente e inclusiva, non insoffe¬rente al dissenso su temi di accla¬rata delicatezza etica. Se la Binet¬ti dovesse essere accompagnata alla porta, sarebbe un pezzo, pic¬colo, minoritario ma importante della società italiana di centrosi¬nistra a essere considerato imme¬ritevole di rappresentanza in quel partito.?
Pierluigi Battista
?Condivido anch?io. Penso anche che la reazione virulenta di un pezzo importante del nostro elettorato nasca dai gravi errori politici che il PD e il gruppo hanno commesso; in particolare , se il PD avesse assunto una posizione ufficiale (senza rifugiarsi nella formula della ?posizione prevalente?) e se, soprattutto, non si fosse sostituito Ignazio Marino con Dorina Bianchi, sarebbe stato molto meno problematico accettare il dissenso di uno o due deputati, senza drammatizzarlo.?
Nicola Nanni
C’è uno spettro che si aggira per il parlamento: l’unità di voto
all’interno dello stesso gruppo parlamentare. Quando i partiti
rispondevano alla stringente logica degli “uguali con gli uguali”, il
voto era una testimonianza di solidità dell’apparato. Uno che votava
per i fatti suoi rappresentava un morbo da debellare.
Il Pd ha inteso infrangere questa logica, superando le finte unità di
facciata per approdare a delle sintesi politiche tra rivoli di diversi
riformismi. I diversi si sono incontrati, ma mai confrontati veramente
sulle posizioni che sentono di rappresentare. Quindi, non abbiamo mai
elaborato una vera sintesi.
Ciò deriva a mio avviso da una grava lacuna organizzativa: non
esistono spazi sistematici di confronto e votazione interni al
partito, dove la Binetti possa proporre, esporre le sue idee e magari
convicere o farsi convincere.
In attesa che Bersani (speriamo) riesca a creare un’organizzazione
moderna per un partito innovativo, non potremmo introdurre una
semplicissima norma statutaria che imponga agli eletti (Binetti,
Franceschini, D’Alema, Rutelli o… Turigliatto) di chiedere
l’autorizzazione di votare diversamente dalla linea di partito? In
Germania accade sistematicamente: il segretario del partito può
concedere o no tale diritto, analizzando i singoli casi e non l’ostica
coerenza dei deputati. Forse essere democratici vuol dire ascoltare
anche le minioranze interne, senza espellerle come un cancro.
Aldo Venditto