Il Ministero dello Sport e della Gioventù in Francia istituisce nel 1997 ?les conseils de la jeunesse?, uno in ogni dipartimento del territorio francese.
Questi Consigli hanno lo scopo di favorire il dialogo tra i giovani e le istituzioni pubbliche, permettendo ai giovani d’intervenire sulle diverse questioni che li riguardano direttamente. Nel 1998 ha fatto seguito la creazione di un Consiglio Permanente della Gioventù, presieduto dal ministro dello Sport e della Gioventù, che ha per compito quello di formulare pareri e proposte nelle materie d’interesse dei giovani, e riportare allo stesso tempo a livello nazionale i pareri e le proposte scaturite a livello dipartimentale. Esso si compone di giovani dai 16 ai 28 anni, divisi in tre collegi: il primo raggruppa delle organizzazioni nazionali di giovani – politiche, associative di vario tipo, sindacali; il secondo i rappresentanti di associazioni giovanili locali e il terzo delle persone qualificate nei diversi ambiti.
Il Consiglio ha un ruolo consultivo ed è organizzato in sette commissioni di lavoro. È all’origine di molte misure governative adottate a favore dei giovani negli ultimi tempi (ne sono esempi la Carta trasporti “ImagineR” che offre una riduzione del 40% sui trasporti ai giovani, il coupon sport e molto altro).
Prima ancora dei Consigli dipartimentali, nel 1991 erano stati creati dei “Consigli municipali dei bambini e degli adolescenti” con l’obiettivo di dare voce a livello locale ai giovani, e giovanissimi, cittadini – dai 9 ai 18 anni – costituire momenti di dialogo appositamente creati con assessori e funzionari comunali, portare sul tavolo delle discussioni le loro esigenze. Oggi questi Consigli comunali sono 1200.
Come sono eletti i giovani? I giovani dai 9 ai 16 anni sono eletti nell’ambito delle scuole, delle associazioni giovanili o direttamente presso la sede del comuni nei piccoli centri. Per i più grandi possono essere ancora altri i luoghi: associazioni di vario tipo, residenze per giovani lavoratori (foyer des jeunes travailleurs) e altro.
La tendenza all’associazionismo tra i giovani è forte in Francia. Esso viene visto come una risposta a quelle esigenze trascurate dagli adulti (e dallo Stato), come manifestazione di uno spirito d’iniziativa, di protagonismo, come la capacità di essere dinamici, propositivi, presenti, come un rafforzamento, grazie alla collettività, della capacità di fronteggiare problemi la cui origine accomuna giovani diversi per provenienza e cultura.
Questa capacità d’iniziativa è probabilmente qualcosa che trova le sue radici non a caso in un paese come la Francia, la cui storia recente è caratterizzata dai movimenti per i diritti e soprattutto dove decenni d’immigrazione, se pur con problemi ancora irrisolti, hanno portato ad una più effettiva convivenza tra giovani di diverse origini, oggi in grado di portare istanze comuni davanti al Consiglio Permanente della Gioventù. I giovani si danno delle risposte e lo fanno con azioni che promuovono la coesione, l’aiuto reciproco come il sostegno scolastico, educazione formale e non formale, o le azioni di sensibilizzazione e di prevenzione (contro la droga, la violenza, la disoccupazione, la delinquenza?). L’educazione alla solidarietà si fa tra coetanei, o da più grande a più piccolo. Tutte le attività condotte e pensate dai ragazzi che danno vita alla loro associazione di quartiere, si svolgono in locali autogestiti che vedono però almeno l’aiuto finanziario, quasi sempre municipale.
Non sembra manifestarsi anche in Italia questa spiccata capacità d’iniziativa tra giovani e giovanissimi.
Nel nostro paese tarda ad affermarsi la cultura dei diritti dei bambini e degli adolescenti come soggetti e interlocutori, portatori di istanze. In Italia, associazioni di diverso tipo, sempre ed esclusivamente costituite da adulti, definiscono ed interpretano i diritti dei bambini e degli adolescenti e portano le loro supposte esigenze di fronte alle istituzioni nazionali ed internazionali.
Se parliamo poi di giovani, intesi come fascia 16-26, così come considerata dal Consiglio Permanente della Gioventù francese, ci accorgiamo che dalla maggiore età in su, i diritti di questi giovani si mescolano in un indistinto e confuso panorama: a partire dal compimento dei 18 anni si abbassa il livello di protezione che si rivolge loro. Dovrebbe crescere il livello d?inclusione nella società che inizia, dal nulla, a considerarli ?cittadini?. Ma di fatto neanche questo accade se non in maniera formale attraverso la partecipazione al voto, partecipazione che li trova puntualmente impreparati e scarsamente motivati. Probabilmente dei giovani cittadini consapevoli, cioè con una forte percezione dei propri diritti e soprattutto educati alla cittadinanza, saprebbero sfruttare questa intervenuta ?abilitazione? a prender parte alla vita pubblica in modo più attivo.
Presso qualche comune in Italia, l’esperienza dei consigli comunali dei ragazzi è stata avviata, instaurando collaborazioni tra la scuola e le autorità territoriali e sperimentando modalità di lavoro a misura di bambino e di ragazzo. Data la diffusione di questa iniziativa anche in Spagna, Germania, Austria, Svizzera e Belgio, l’Unione Europea guarda con crescente interesse a queste esperienze che man mano si stanno sempre più diffondendo e consolidando. Può questo essere l’inizio di una nuova prospettiva in cui si ribaltino i precedenti equilibri? Immaginiamo per un attimo che cosa vorrebbe dire dare la parola ai giovani, prendere in conto le loro idee nell’attuazione di politiche locali anche in una città come Roma. Impegno in prima persona, valori positivi e di solidarietà: di questo c’è bisogno per poter costruire una società più inclusiva e soprattutto più rispettosa dei diritti. Nei giovani forse c’è ancora questo idealismo.