Quest?anno a ricordarci cos?è il Natale, più delle vetrine addobbate e delle luminarie, ha pensato un tale di nome Natale, che notti fa, a Roma, ha preso con coraggio le difese di un alcune ragazze appena uscite dalla discoteca ed è rimasto l?unica vittima dei loro violenti aggressori. Un eroe? Fino a quel momento ?soltanto? un barbone, un emarginato, un omosessuale, un uomo cacciato dalla sua comunità, dalla famiglia, solo, senza nessuno. E quest?uomo di nome Natale ha incarnato nel suo volto irrimediabilmente deturpato dall?aggressione il volto di Cristo che si fa uomo per redimerci.

Personalmente non mi sorprende ciò che è accaduto, ossia che un ?rifiuto? della società diventi, come dice il Vangelo, la ?pietra angolare? su cui ricostruire l?amore e la solidarietà.

Forse troppo spesso pensiamo alla persona senza dimora, al ?barbone? come qualcuno che è sempre stato là, un personaggio senza passato e senza tempo. Ciascuno di loro ha invece una storia; non è detto la vita in strada duri da quarant?anni e si sia cronicizzata. Talvolta si tratta di persone che fino all?altro ieri erano considerate ?civili, normali?.

Poi è accaduto qualcosa: un lutto, una separazione, un divorzio, una rottura profonda con il proprio nucleo familiare, una fuga per debiti (quanti giocatori d?azzardo ridotti, come si diceva un tempo, sul lastrico), un licenziamento, pensioni e sistemi di protezione sociale che non sono più sufficienti: ed eccolì lì confusi, smarriti, magari già dediti all?alcool per consolarsi e per scaldarsi…

Non nascondiamoci dietro un dito. Anche se non vogliamo pensarci, anche se ci sembra impossibile, un giorno all?angolo di quella strada potrebbe esserci uno di noi, nostro fratello, nostro padre, nostro figlio, il nostro vicino di casa che credevamo ?tanto per bene?. E del resto non è così, dopo trent?anni di devastazione tra le nuove generazione provocata dalle droghe? Ancora oggi i genitori si domandano: ?mio figlio? non è possibile! proprio lui??.

I senza dimora non solo sono più numerosi di un tempo, ma sono sono anche sempre più diversi tra loro. È più alto il numero dei giovani e dei giovanissimi. È più alto il numero delle persone acculturate, diplomate e anche laureate, ex dirigenti d?azienda, ex impiegati con incarichi di responsabilità, professionisti. Ci sono più persone con problemi psichiatrici; provenienti da orfanotrofi e carceri. Sono di più gli ammalati, con patologie che a volte sono l?effetto della vita sulla strada, a volte la causa. È aumentato anche il numero degli anziani, vittime di un sistema di provvidenze sociali che non li salvaguarda più come prima.. È altissimo il numero degli stranieri immigrati.

Non si può parlare solo di ?senza fissa dimora?, ma più semplicemente di senza dimora, di chi cioè una casa la vorrebbe e come, se potesse permettersela. Ci sono i ?senza famiglia? che una famiglia la desiderano e dalla quale sono stati espulsi, anche perché la famiglia nucleare, di fronte ai portatori di disagio è isolata, smarrita, disorientata, abbandonata a sé stessa, esasperarta, esausta. Ecco allora la perdita di fiducia in sé stessi, la perdita del lavoro e delle amicizie, la vergogna, il lasciarsi andare. Si smarriscono i documenti o non si rinnovano, senza un domicilio non ci si può più incontrare con le istituzioni, si diventa dei fantasmi senza alcuna identità civile. E senza più voglia di uscire dal proprio stato. Alcuni di loro non dormono durante la notte per paura di essere derubati degli ultimi effetti personali o dei pochi indumenti essenziali, con il risultato di indebolire ulteriormente il proprio stato fisico e psichico.

Le mense e i dormitori coprono in modo significativo, anche se mai completamente, la domanda di prima accoglienza o di aiuto in emergenza. Il punto è che le strutture molto ampie possono accentuare il degrado o il senso di fallimento individuale e rendono meno semplice l?intervento di sostegno e riorientamento esistenziale della persona.

Che fare? Intanto, considerata la nuova tipologia più complessa dei senza fissa dimora, è chiaro che in alcuni casi la soluzione migliore è il ricongiungimento familiare, mediato da operatori sociali capaci e da servizi in grado di aiutare la famiglia.

Ma poi sono necessari operatori di strada in maggior numero, realmente presenti accanto alle persone in difficoltà, che sappiano parlare al loro livello, una presenza mai invadente per stabilire un?amicizia prima di suggerire un comportamento.

Per l?accoglienza, bisogna pensare a strutture più piccole, numerose e diversificate secondo le tipologie problematiche degli ospiti, dove gli operatori abbiano un reale contatto con la persona in difficoltà, conoscerne la storia, acquistarne la fiducia, proporle un cammino verso case famiglie e un reinserimento sociale. C?è bisogno di medici e operatori sanitari e strutture pubbliche più disponibili. Il volontariato ha un enorme potenziale, che andrebbe meglio coordinato. È inutile portare panini a chi manca di tutto ma non di cibo.

Ma soprattutto, mentre si registra un disinvestimento sociale che porta all?aumento di tutte le povertà, dobbiamo convincerci che gli esclusi che ci troviamo di fronte non sono un gruppetto residuale, gli avanzi di una società buona: ne sono parte integrante, ne sono il risultato fisiologico e non patologico. Sempre più persone vivono esperienze devastanti e non si tratta di ?diversi?, ma di persone che potevano e possono avere una vita piena sul piano degli affetti, della socialità, del lavoro. Più ricca di amore e di solidarietà di tanti schiavi dei consumi, dei ritmi e delle banalità meschine dei cosiddetti normali e integrati. Come un pover?uomo di nome Natale ci ha ricordato con la forza di un pugno nello stomaco.