Non si accontenta, il governo statunitense, di aver messo le mani sulle risorse petrolifere irachene: anche il greggio latinoamericano fa gola all’amministrazione Bush. Così, fallito – per il momento – il tentativo di rovesciare il presidente venezuelano Hugo Chávez, il governo Bush ci prova ora con il Messico. Non, questa volta, per la via del sostegno a un colpo di Stato come avvenuto in Venezuela nell’aprile del 2002, ma attraverso un ricatto legato ad una delle priorità del governo di Vicente Fox: quella di un accordo migratorio tra i due Paesi. Come nient’altro che un ricatto, infatti, appare la risoluzione votata il 9 maggio dai congressisti repubblicani statunitensi che vincola il raggiungimento di “un qualunque accordo sui temi dell’immigrazione” all’apertura dell’industria petrolifera messicana (Pemex) “agli investimenti delle imprese statunitensi”. Decisamente troppo anche per il governo “amico” di Fox: “la presidenza della Repubblica – è stata la risposta contenuta in un bollettino diffuso l’11 maggio dalla casa presidenziale – dichiara che il negoziato su un accordo migratorio tra Stati Uniti e Messico è stato una priorità dall’inizio del governo del presidente Vicente Fox Quesada, ma in nessun modo si accetterà di negoziare tale accordo in cambio dell’apertura di Pemex agli investimenti stranieri”.
E proprio di “ricatto” ha parlato l’arcivescovo di Città del Messico, il card. Norberto Rivera Carrera: “Non si può negoziare così”, ha dichiarato al termine della messa domenicale: “la libertà di emigrare delle persone è molto diversa da quella di un prodotto commerciale com’è il petrolio”.
Durissimo il commento del Premio Nobel argentino Adolfo Pérez Esquivel, giunto in Messico per partecipare, a San Cristóbal de Las Casas, all'”Incontro emisferico sulla militarizzazione”: l’obiettivo degli Stati Uniti, ha detto, è imporre la propria egemonia su tutto il mondo, a partire dal controllo delle principali fonti petrolifere. “Come si è impadronito, mediante la seconda guerra del Golfo, del petrolio dell’Iraq” e ha tentato di controllare il greggio venezuelano “cospirando contro Chávez”, ora – afferma Pérez Esquivel – il governo Bush punta ad accaparrarsi il petrolio messicano. “Se riescono a controllare il Messico, il Venezuela e il Medio Oriente, gli Stati Uniti avranno nelle loro mani tutte le fonti di idrocarburi del mondo”.
Quella degli Stati Uniti , secondo il Premio Nobel, è una “dittatura globalizzata” che, per quanto riguarda l’America Latina, gli Usa intendono imporre attraverso il debito estero, la creazione dell’Alca, l’Area di libero commercio delle Americhe (che, dice, “di libero non ha nulla”) e la militarizzazione. Secondo Pérez Esquivel, l’Alca “significherebbe la morte delle industrie nazionali e l’acutizzazione dei conflitti sociali”, che a sua volta porterebbe a una scalata repressiva. “Da qui l’utilità delle basi militari che gli Stati Uniti stanno consolidando nel continente e l’addestramento di truppe degli eserciti nazionali da parte del Pentagono”, perché operino come “eserciti di occupazione nelle loro stesse terre”. E tutto questo – sottolinea il Premio Nobel – “con il consenso e l’appoggio dei governi latinoamericani”.
Che tale sia il disegno degli Stati Uniti lo conferma – secondo quanto riferisce Martin E. Iglesias in un servizio pubblicato sul sito www.selvas.org – lo stesso rapporto presentato dal comandante del Southcom (il Comando Sud degli Stati Uniti) James Hill, a una commissione governativa a Washington pochi giorni prima dell’avvio delle operazioni militari in Iraq. Sottolineando l’importanza strategica del continente, il rapporto indica come priorità la guerra al terrorismo e “i nostri interessi in Colombia”. E aggiunge: “i nostri legami economici e strategici con l’America Latina e i Caraibi non sono stati mai così forti. La regione fornisce oltre il 31% del petrolio che importiamo (?). L’Amazzonia produce il 20% dell’acqua potabile e il 25% dell’ossigeno mondiale. E, ancora, il 25% dei farmaci degli Stati Uniti deriva dalle risorse di questa regione”. Così, mentre i fondi destinati alla Colombia hanno raggiunto il “totale record di 755 milioni di dollari per il 2003”, cospicui sono anche i finanziamenti diretti all’Iniziativa Regionale Andina, attraverso cui Perù, Ecuador, Bolivia e Panama, oltre alla Colombia, ricevono dagli Usa ingenti aiuti militari. Aiuti che vanno di pari passo con l’aumento della presenza militare del Comando Sud in tutta la regione.