L?allarme venne lanciato 12 anni fa, al termine della prima guerra contro l?Iraq. La pubblicazione dell’elenco delle industrie che avevano fornito armi al regime di Baghdad fece emergere un dato molto chiaro: la poca lungimiranza dei paesi della coalizione che aveva appena cacciato Saddam Hussein dal Kuwait. Le Nazioni Unite gli avevano dato il mandato di agire per ristabilire il diritto internazionale, e loro si erano trovati a fronteggiare militarmente un governo del quale negli anni precedenti avevano contribuito ad incrementare il potenziale bellico.
In Italia fu allora varata la legge n. 185/1990, chiamata a fare chiarezza sulla trasparenza e sul controllo delle armi. Una delle leggi più avanzate in Europa e nel contesto internazionale, voluta e promossa in primo luogo dalla società civile, che riuscì a frenare in maniera decisa il commercio di armi a basso grado di responsabilità. Un commercio che aveva visto il nostro paese vendere materiale bellico a paesi in guerra come Iran, Iraq e in zone di crisi per i diritti umani come il Sud Africa dell?apartheid e molti paesi in via di sviluppo (80% circa dell?export italiano).
Il principio fondante di questa legge è quello della responsabilità politica in materia di esportazioni di armamenti: i trasferimenti di armi non sottostanno solo a regole commerciali ma sono subordinati alla politica estera e di sicurezza dello Stato italiano. Da ciò derivano importanti divieti, come quello di esportare armi a paesi in conflitto, a paesi i cui governi violano le convenzioni sui diritti umani, a paesi coinvolti nel terrorismo.
Inoltre la legge recepisce le istanze di trasparenza interna ed esterna più volte raccomandate dall’ONU agli Stati, prevedendo un?ampia e significativa informazione dell?opinione pubblica sulle esportazioni e importazioni di armi italiane, tramite la presentazione di una relazione annuale al Parlamento, che riporta dati dettagliati su azienda fornitrice, materiale esportato, valore, quantità, destinatario finale, banche di appoggio, etc., sancendo così la scomparsa del segreto militare in materia.
Infine la normativa introduce un sistema organico ed efficace di autorizzazioni e controlli, distinguendo nettamente tra mercato lecito e illecito. Di estrema importanza, in tal senso, è il divieto di cedere armi ogni qualvolta manchino adeguate garanzie sulla destinazione finale, richiedendo che alla domanda di autorizzazione sia allegato un certificato di uso finale attestante che il materiale non verrà riesportato senza preventiva autorizzazione dell?Italia.
Poi, poche settimane fa, la battuta d?arresto: le modifiche alla legge 185 approvate il 3 giugno scorso limitano fortemente il controllo sul commercio di armi italiano, in quanto eliminano l’obbligo di trasparenza riguardo al destinatario finale della transazione. Non ci sarà più l’obbligo per il governo di presentare la relazione annuale sulle esportazioni autorizzate. E in più l’attuale norma che pone fine al divieto di vendere armi in quei paesi in cui si verificano “violazioni di diritti umani” verrà modificata con l’espressione “gravi violazioni di diritti umani”, relativizzando così un concetto che di relativo ha o dovrebbe avere ben poco.
Tali scelte politiche, oltre a suscitare preoccupazione in ambito nazionale, se inserite nello scenario internazionale, fino a ieri teatro della guerra Iraq – Usa e del lungo iter che ha preceduto lo scoppio del conflitto, contribuiscono a consolidare la paura fondata che l’obiettivo di evitare la proliferazione di armi nucleari e di distruzione di massa fallisca drammaticamente.
Nella delicata fase storica in cui viviamo, la sicurezza non può essere ottenuta in maniera duratura attraverso la corsa agli armamenti e l’uso della forza, ma solo mediante il reciproco riconoscimento. E’ necessario imparare a trovare modalità diverse dalla guerra e dalla corsa agli armamenti per dirimere i conflitti, ecco perché è così importante il rispetto delle regole di diritto internazionale. La guerra invece costituisce l’interruzione della legalità, il sovvertimento della convivenza.