Il 2° rapporto sulla situazione del Servizio Sociale, presentato il 24 settembre e curato dall?Eiss, è una preziosa analisi dello stato delle cose nel settore, e assume particolare interesse nel momento in cui, con la legge 328 e soprattutto con la riforma del Titolo V della Costituzione, il servizio sociale è divenuto di esclusiva competenza delle Regioni e degli Enti Locali. E? quanto ha sottolineato Salvatore Rizza, secondo il quale l?Autorità centrale a questo punto si limita a trasferire alle Regioni i mezzi finanziari del fondo nazionale per i servizi sociali, ma è ancora latitante su un altro importante adempimento: l?indicazione dei livelli essenziali dell?assistenza.
In apertura Paola Rossi ha dipinto un quadro di luci ed ombre nella sua ottica di presidente dell?Ordine professionale, denunciando anzitutto che, a fronte di enunciazioni generali accettabilissime, e che dipingono la figura dell?Assistente Sociale come un professionista di alto livello, al quale viene perfino riconosciuto il segreto professionale, ci si trova poi con mezzi sempre più scarsi a disposizione, e con le Università che, nei ben 37 corsi di laurea attivati, si limitano a fornire nozioni e sono carenti nella formazione.
Giuseppe Rizzo ha ripercorso la storia dei servizi sociali italiani dagli anni ?60 in poi, ricordando come allora esistessero soltanto gli E.C.A. comunali, la cui pressoché unica attività era la distribuzione di buoni pasto. Oggi, anche di fronte a grandissimi mutamenti sociali, le cose sono radicalmente cambiate. Ma allora: che cosa fanno i 200 Assistenti Sociali assunti dal Ministero del Lavoro per affrontare i problemi degli immigrati? Sembra che siano addetti a mansioni burocratiche. E che spazio hanno quelli assunti nelle Prefetture per fronteggiare i fenomeni della tossicodipendenza? E che ruolo svolgono gli Assistenti Sociali assunti dall?INAIL? Rizzo indica la necessità di un censimento per sapere chi sono, dove sono e che cosa possono fare gli Assistenti Sociali.
Elisabetta Neve, dell?Università di Verona, e Luigi Gui, coautore del rapporto, hanno illustrato i punti salienti del Rapporto.
Il cambiamento del servizio sociale va inserito nel contesto più generale del grande mutamento del quadro sociosanitario. Il processo di trasformazione in atto dà al tutto un carattere di transitorietà, e perciò è perfino prematuro chiedersi che cosa stia avvenendo: la stessa definizione del profilo professionale, come rilevato da altri intervenuti, non è stata ancora data dallo Stato. Scarsa l?attenzione del legislatore e quindi, tranne qualche eccezione locale (es: la provincia autonoma di Trento) scarsa l?attenzione delle stesse amministrazioni locali e gli strumenti di monitoraggio.
L?Assistente Sociale ha difficoltà a farsi conoscere e riconoscere. A volte viene visto come un burocrate, un controllore sociale, con un meccanismo di spostamento sull?individuo delle disfunzioni del sistema. Sono ancora molto rilevanti le posizioni che tendono al pietismo e alla beneficenza piuttosto che verso una solidarietà effettiva.
A fronte del rischio di un nuovo centralismo regionale, che può svuotare di contenuti l?autonomia degli Enti Locali, soprattutto dei piccoli Comuni, l?identità dell?Assistente Sociale risulta frammentata anche per le diversità geo-politico-culturali, sicché anche dai risultati del rapporto non emergono dati omogenei tra le singole Regioni.
Se si effettua una valutazione solo in termini economici (costi/benefici), sicuramente i servizi sociali possono sembrare ingiustificati, e forse questa (che è una grave lacuna culturale) è una delle cause del calo dei fondi disponibili.
In Italia si calcola che ci sia un Assistente Sociale ogni 2000 persone, e, sempre ogni 2000 abitanti, 1,5 partecipano ad associazioni del III Settore. Quantitativamente è una grande ricchezza alla quale bisogna fornire strumenti di intervento.