Il 17 ottobre si è celebrata la giornata mondiale di lotta alla povertà, voluta dall?assemblea generale delle Nazioni Unite, fin dal 1993.
Se vogliamo che non sia una celebrazione rituale, occasione per discorsi ed enunciazioni di principio che lasciano il tempo che trovano, bisogna che la riflessione abbia le caratteristiche della concretezza e che ciascuno dei soggetti in campo, istituzioni, enti, associazioni, singoli individui, partano dal proprio specifico.
Sono tante le povertà, ma io vorrei soffermarmi su quella che vediamo quotidianamente nelle nostre città: quella ?casalinga? degli homeless tradizionali, spesso connessa all?alcolismo, la tossicodipendenza, la malattia mentale, ma soprattutto quella delle centinaia di migliaia di immigrati che ? a volte correndo rischi mortali ? fuggono dalla fame, la miseria, le guerre, le persecuzioni e vengono a cercare nei paesi ricchi una possibilità di vita migliore che non sempre trovano. Sempre più emarginati, respinti da una società che dimentica che la propria ricchezza è l?altra faccia della medaglia della loro povertà e che essa stessa ricchezza si fonda sullo sfruttamento delle risorse dei Paesi più poveri, vengono sospinti verso la disperazione e, in mancanza di alternative, rischiano di cadere nelle maglie della criminalità.
Li vediamo, figure senza volto, vagare o bivaccare agli angoli delle strade, sotto i portici, nelle stazioni, dove tutto si perde nell?anonimato, c?è tanta gente e non c?è nessuno. Qualcuno, più pietoso, offre loro qualche centesimo, un panino, altri fingono di non vedere. In casi estremi, per fortuna isolati, qualcuno li maltratta e li aggredisce.
E? antistorico, contrario ad ogni buon senso pensare che il problema si possa risolvere con misure repressive; ma la soluzione non può nemmeno consistere in un buonismo, che è l?altra faccia della medaglia dell?indifferenza. Occorre partire dal presupposto che gli immigrati, gli emarginati, i più deboli rappresentano una grande risorsa. Non mi riferisco esclusivamente al fatto che in una società in calo demografico come la nostra c?è bisogno di nuova forza lavoro, penso anche all?arricchimento umano, sociale, culturale che può nascere soltanto nel rapporto dialettico con gli altri simili a noi e diversi da noi. Inevitabilmente si va verso una società multietnica e multiculturale, e questa mi sembra una grande occasione storica di crescita per tutti.
Si tratta, allora, di mettere in rete le responsabilità e le competenze di tutti gli attori coinvolti: istituzioni (governo, enti locali), imprese, associazioni, operatori del settore, singoli individui, in modo da convergere verso un fine condiviso di integrazione e convivenza civile.
Un messaggio in questo senso parte proprio dalle stazioni ferroviarie, polo storico di concentrazione del disagio. Le stazioni non sono un ?non luogo? dove si passa frettolosamente per salire o scendere da un treno, ma vere e proprie piazze cittadine, dove si incrociano e si intrecciano affetti, affari, miserie; rappresentano lo specchio della città, ed anche il primo biglietto da visita per chi vi arriva. A Roma e Milano (e prossimamente in diverse altre località particolarmente interessate al fenomeno) gli Enti locali in sinergia con le Ferrovie e con le associazioni di volontariato hanno creato degli Help Center, ossia sportelli sociali che funzionano come centri di aiuto, terminali operativi della rete di solidarietà cittadina. Il loro compito è captare il disagio là dove si concentra, per indirizzarlo verso le strutture in grado di dare una risposta ai problemi delle persone, avviandole verso un processo di integrazione e recupero.
In questo modo il Comune, responsabile istituzionale per i servizi sociali, si dota di un?antenna in un luogo privilegiato di osservazione del fenomeno, le Ferrovie perseguono concretamente quei principi di responsabilità sociale dell?impresa che, tra l?altro, fanno parte delle cinque priorità della presidenza italiana dell?U.E., le Associazioni operanti nel settore possono armonizzare e coordinare il proprio lavoro venendo inserite in un progetto più vasto senza veder lesa la propria autonomia e specificità.
Mi sembra che questo sia un buon modo di celebrare questo 17 ottobre: cercare insieme come ciascuno, a partire dal proprio specifico, possa portare un contributo che incardini la solidarietà nel lavoro e nel vivere quotidiano.
Cerchiamo una riflessione abbia le caratteristiche della concretezza