Guardiamo alle persone prima che alle sostanze.
Il nemico più temibile non è costituito da pillole
e polverine, ma dalle paure, le ansie, lo scarso senso
di responsabilità e la poca attitudine al sacrificio e all?impegno
di tanti giovani e non, in una società che impone
mode e ritmi inaccettabili. La risposta non può essere
un bilancino di precisione o un comma di legge.
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C?è un equivoco di fondo che ci perseguita da decenni quando si affronta, a parole, il tema droga. Continuiamo a ragionare in termini di sostanze e non di persone. La differenza è fondamentale. Se il nemico da combattere è una polverina o una pasticca, possiamo rafforzare la repressione di traffico e spaccio, affidarci a nuovi strumenti legislativi, diffondere una capillare informazione sugli effetti delle sostanze.
Ma se il nemico fosse un altro? Se fossero le paure, le ansie, la solitudine che provano tanti giovani? Se fosse il loro scarso senso di responsabilità, l?incapacità di sopportare delusioni e frustrazioni, di affrontare fatiche e sacrifici per conseguire un obiettivo? Se fosse la pressione di una società che obbliga a un ritmo di consumi, usi e abusi che tanti non possono o non vogliono permettersi? Se fosse il timore per un futuro che prospetta per i diritti dell?uomo guerre di prevenzione, per un posto di lavoro raccomandazioni e favoritismi, per il funzionamento delle istituzioni una classe politica appena di poco meno corrotta della precedente?
Ho conosciuto in 35 anni di lavoro migliaia di adolescenti, giovani e meno giovani che usavano droghe, molto diversi tra loro. Ma con un denominatore comune: avevano più paura di vivere che di morire.
I più sensibili tra i giovani sono molto attenti al fatto che milioni di persone muoiono di fame perché avanza la desertificazione procurata dall?uomo, di malattie non curate perché le multinazionali del farmaco tengono stretti i loro brevetti, di sete perché l?acqua è stata inquinata o privatizzata, di mine antiuomo che ne tappezzano il cammino quotidiano.
Non dico che si droghino perché dinanzi a queste tragedie dell?umanità hanno gettato la spugna. Dico però che è difficile dar loro una buona ragione per non drogarsi. Vogliamo, allora, accontentarci di leggi e leggine? Possiamo mantenere il dibattito, come spesso accade, al livello di beghe condominiali?
Ogni tanto mi viene chiesto un appello ai giovani. Io mi rivolgo prima agli adulti e a chi ha il potere. Diamo voce ai ragazzi, diamo loro spazi diversi per esprimersi, facciamo in modo che siano protagonisti al positivo della loro vita e di quella degli altri. Riqualifichiamo gli spazi urbani degradati dove i tessuti sociali sono lacerati o del tutto assenti. Rafforziamo la loro coscienza critica, ascoltiamoli senza paura, affezioniamoci al nuovo che è in loro, comportiamoci da maestri attenti e non da giudici inflessibili.
Potenziamo le iniziative di educazione tra pari: i ragazzi sono più credibili degli adulti per i loro compagni. Promuoviamo modelli e stili di vita che rifiutano di risolvere il proprio star male ricorrendo a sostanze esterne, droghe, farmaci, cibo… Sosteniamo l?associazionismo e creiamo gruppi di animazione e di auto-aiuto nelle scuole, iniziative extrascolastiche di sostegno allo studio, consultori per adolescenti e centri di ascolto e cura dei disturbi psico-affettivi dell?età adolescenziale.
Promuoviamo con entusiasmo il volontariato tra gli studenti, esperienze di vario tipo sociale, ricreativo, espressivo, culturale, sociale, politico, religioso, in cui ritrovarsi insieme per sentirsi utili. Prepariamo seriamente i giovani al mercato del lavoro, orientandoli con opportunità di stage, laboratori, botteghe anche al valore dell?autoimprenditorialità e di un?autogestione responsabilizzante. Moltiplichiamo iniziative come il servizio civile volontario.
Non ho mai pensato che oggi tutti i giovani siano fragili e privi di capacità critica. I ragazzi di oggi, anche i bambini, sono più svelti, intuitivi, forse anche più intelligenti di come eravamo noi adulti e anziani alla loro età. Hanno altri strumenti per documentarsi e conoscere il mondo. Ma sono più soli e disorientati, perché troppi valori non vengono più proposti come fondamentali, e non parlo solo di quelli spirituali e trascendentali, parlo anche della responsabilità, dell?onestà, della sobrietà intesa come senso del limite.
Però non esistono i giovani come categoria unica. Io mi preoccupo per i più fragili tra di loro, per quelli che devono entrare nel branco per non restare soli e disperati, e magari mettere in atto comportamenti che non condividono. Penso a quelli con famiglie disgregate, disfatte e rifatte, ingarbugliate, o assenti. Penso a quelli per cui la scuola è una specie di carcere da cui scappare il più presto possibile. Dobbiamo occuparci anche di loro, farli sentire partecipi e protagonisti della vita, offrirgli adulti di riferimento credibili, autentici, onesti, e imparare ad ascoltare i loro bisogni, i loro desideri, le loro sofferenze direttamente dalla loro voce.
E allora è nostro compito impellente quello di aiutare le famiglie: sostegno della funzione educativa dei genitori attraverso corsi, consultori, gruppi di auto-aiuto, assistenza ai nuclei problematici. Progettiamo iniziative di formazione dei formatori, insegnanti di ogni ordine e grado scolastico, leader di gruppi e associazioni, gestori di locali e attività in cui siano i protagonisti i giovani. E aiutiamo gli operatori del sociale e della salute a prepararsi meglio e ad aggiornarsi.
Responsabilizziamo il mondo dell?informazione, soprattutto televisiva, a uscire dall?attuale degrado per valorizzare in positivo la capacità delle persone di lottare, di sacrificarsi, di trasformare le esperienze di sofferenza in atti creativi nel perseguimento dei propri obiettivi e della propria realizzazione personale. Diffondiamo una cultura in cui al lavoro sia restituito in pieno il senso e la funzione di partecipazione alla costruzione di un modo più rispettoso della vita e promotore della persona.
Diamo ai giovani e a tutti la possibilità di creare reti locali e luoghi per incontrarsi in città e quartieri vivibili, dove la proposta di valori come l?autonomia, la responsabilità, la libertà, la solidarietà possa avere un senso, una prospettiva concreta di realizzazione.
Non sto inventando nulla. Sto ripetendo, in sintesi, le proposte di un documento elaborato nel 2000, dopo anni di discussione, presso la Presidenza del Consiglio, da un?ampia commissione di esperti dove erano rappresentate opinioni politiche di ogni tipo, valori cattolici e valori laici, istanze proibizioniste e antiproibizioniste.
Perché non ripartire da lì, anziché litigare per l?ennesima volta su sanzioni amministrative o penali e su leggi restrittive con annessi referendum abrogativi? Perché non discutiamo seriamente di questo, anziché contrapporre prove mediche e scientifiche poco credibili perché tra di loro contraddittorie sugli effetti di questa o quella sostanza?
Certe proposte, certe affermazioni, certi toni non possono non preoccupare. Ma resto dell?opinione che il dialogo sia la strada migliore e che anche i sordi possono udire se ci si relaziona in modo franco e sereno, argomentando in modo inequivocabile ma aperto le ragioni che sostengono le nostre idee e i nostri valori.
Talvolta le prese di posizione partono dalla non conoscenza dei problemi; talaltra possono avere origine da un desiderio di compiacere la pubblica opinione, quando poi la stessa opinione pubblica ha in maggioranza idee differenti. Mi batto da sempre contro lo stile dell?emergenza, contro la cultura degli slogan superficiali e delle semplificazioni di problemi complessi, contro le opposizioni frontali. Far troppe barriere può voler dire acuire le distanze e impedire quei processi di mediazione cui pure è necessario talvolta ricorrere per evitare il peggio.
Ma una cosa è certa: le nuove generazioni, e tutti coloro ai quali è caro il loro futuro, non sanno che farsene di bilancini, quantità modiche, emendamenti e commi.