Da mesi ormai si parla anche in Italia della dibattuta vicenda francese che scaturisce dal progetto di legge, in via di approvazione per altro , sul divieto di portare segni religiosi ?ostensibili? o comunque ?visibili? nelle aule e nei luoghi pubblici. Molte personalità, dalla politica alla letteratura e, naturalmente i capi delle comunità religiose, hanno espresso dubbi, critiche e dissensi. Altri trovano argomenti per spiegare le ragioni di un simile provvedimento. Per alcuni è un fulmine a ciel sereno che acuirà le tensioni sociali riaprendo “il più antico conflitto francese” , per altri è una misura che porta, in materia, quella chiarezza necessaria in tanto arbitrio. A me il difficile compito di esporre le ragioni degli uni e degli altri e ?tirare le fila?, se possibile, di una questione tanto controversa.
Partiamo dal fatto che la Francia, diversamente dall?Italia, si riconosce, all?Art. 2 della sua costituzione, come una Repubblica laica. Nell?attuale dibattito un ruolo centrale è svolto da questo concetto e principio di laicità che diventa evidentemente sinonimo di ?neutralità? e, per una qualche proprietà transitiva, di ?uguaglianza? e ?rispetto dei diritti di tutti?. Per questo semplice passaggio, si assiste in Francia al livellamento delle ?ostentate? differenze religiose in quei luoghi che sono per antonomasia i luoghi dello Stato: la scuola, gli ospedali, gli uffici pubblici. ?La laicità difende i diritti di tutti?, è al di sopra della tolleranza, sentiamo affermare anche in Italia . Ma sul perché si sceglie un simile momento storico per riaffermare la laicità della Repubblica si potrebbe discutere. Forse perché più che mai crescono le minacce dell?integralismo religioso, musulmano o altro che sia, dice qualcuno. O perché, più che mai, crescono le paure, si potrebbe meglio dire. Come le paure di Chirac di assistere ad un?ulteriore crescita politica del Fronte nazionale di Jean-Marie Le Pen alle regionali di marzo. O le paure di tutti quelli che, con un contesto internazionale sempre più complesso, mal sopportano il peso di quello che la storia nazionale del Paese afferma da almeno un secolo. ?Le peuple français est riche de sa diversité. Une diversité assumée et qui est au c?ur de notre identité” dice Chirac nel suo discorso al Parlamento.
Per chi sostiene questa iniziativa, l?intera vicenda declina a tratti « un problema di ordine pubblico », e per una parte consistente, una coraggiosa difesa dei diritti umani sul suolo francese contro gli obblighi delle comunità religiose più chiuse che ripropongono anche in un paese che non è il loro, dinamiche e pratiche inconciliabili con la vita sociale in Francia (pensiamo a quelle organizzazioni che si battono l’uguaglianza dei sessi, la dignità della donna ecc.). Opinioni a parte, senza meno possiamo dire che si tratta di un problema di integrazione, o più precisamente di non?integrazione. O ancora dell? interpretazione che si dà al concetto di integrazione. Per secoli in Francia « integrazione » è stata in binomio con « assimilazione », significato ben diverso che presuppone l?acquisizione, l?assorbimento da parte dello straniero, di principi e valori della civilizzazione francese, non ultima la lingua. Integrati sono coloro che pur appartenendo ad una cultura diversa, si collocano nei tempi e negli spazi del paese che li ospita. Il punto è che, in un discorso simile, il rischio più immediato che si corre è quello di contravvenire al principio della libertà di tutti gli individui e di tutti i cittadini, perché come noto gli appartenenti alle diverse comunità religiose in Francia sono anche cittadini francesi. Da notare è che l?appartenenza religiosa non impedisce l?appartenenza alla Repubblica, a meno di contrasti che sfocino nell’illegalità o altro, ma non è questo il caso. In molti capiscono che quest?attacco « al velo islamico » non potrà che portare all?irrigidimento su posizioni contrapposte, alla chiusura, all?espulsione dai licei di altre Alma e Lila che rifiutano di togliere dal capo il loro chador. Affermare che lo Stato rispetta le libertà religiose di tutti i suoi cittadini è quanto meno contraddittorio, infatti indossare il velo, la kippà, il turbante per i sikh, è niente altro che mettere in pratica dei precetti religiosi. Dice il rapporto presentato dalla Commissione Stasi, incaricata di svolgere lo studio preparatorio, che “solo i segni apparenti” dovranno essere banditi, cioè grosse croci, veli, kippà, mentre potranno essere portati i “segni discreti”, come piccole croci, stelle di David, mani di Fatima e piccoli Corani. Ma come e chi stabilirà il “tasso di ostentazione” dei simboli religiosi? In questo contesto a poco serve la contestuale proposta per la creazione di un’autorità indipendente ?che lotti contro tutte discriminazioni?. Le discriminazioni sono all?ordine del giorno purtroppo e, ad ogni modo, si respira già il precario equilibrio tra le diverse convivenze nella metropoli parigina, come altrove nel resto della Francia, senza bisogno di intervenire con una legge che sottolinei come queste persone ?non sono a casa loro?. Il presidente della Conferenza Episcopale Jean-Pierre Ricard afferma in tanto che “la Chiesa non intende lasciar ridurre il suo ruolo alla sola custodia di un patrimonio culturale” . Ma indubbiamente qualora il provvedimento entrasse in vigore, colpirebbe la Chiesa cattolica come le altre confessioni. Pensando all?istituzione della scuola, uno degli effetti di una simile legge sarebbe l?allontanamento volontario dalla scuola pubblica da parte dei diversi appartenenti alle comunità religiose colpite dal provvedimento per ripiegare nelle scuole confessionali laddove possibile. Naturalmente svantaggiati saranno quelli che non potranno sostenere i costi di un?istruzione a pagamento. Come dire che oltre ad acuirsi le tensioni tra culture religiose diverse, crescerà anche il tasso di disagio scolastico ovvero abbandono. Un passo indietro su tutto il fronte.
Si acuiscono le tensioni sociali in Francia attorno al divieto di portare il velo e altri segni religiosi a scuola.