Ho seguito, mentre ero in Iraq, il dibattito politico sul prolungamento della missione militare italiana in quel paese. INTERSOS si è espressa a più riprese, denunciando la dispotica dittatura di Saddam ma ritenendo illegittime le decisioni unilaterali e al di fuori del contesto delle Nazioni Unite, dichiarandosi contraria alla guerra, contraria all?invio di un contingente militare italiano di stabilizzazione privo dell?indispensabile legittimazione internazionale, considerando le attuali forze militari come vere e proprie forze di occupazione, rifiutando ogni contatto con i contingenti militari e ogni collaborazione con l?Autorità provvisoria della Coalizione e, per quanto riguarda le attività in Iraq, con i Governi in essa rappresentati, compreso quello italiano. INTERSOS ha poi valutato in modo estremamente negativo l?ignoranza, l?impreparazione e l?incapacità dimostrata dai nuovi occupanti nella gestione del paese, che continua a soffrire della carenza dei servizi essenziali e delle opportunità di lavoro, di fronte ad un crescente costo della vita, un?insicurezza diffusa e incerte prospettive politiche.
Coerente con le posizioni assunte è stato il nostro programma di attività in Iraq, dall?aprile 2003 ad oggi, che ha visto l?impegno di una quarantina di operatori umanitari italiani ed internazionali e di circa 250 operatori iracheni. Dal sostegno agli ospizi per anziani rimasti soli, al supporto ad un ospedale pediatrico e alla formazione scientifica del personale medico su leucemie e linfomi, alla creazione di spazi di aggregazione per i bambini nelle periferie urbane, all?accoglienza dei rifugiati iracheni di ritorno dall?Arabia Saudita e dall?Iran e all?assistenza agli sfollati interni, alla bonifica di aree infestate da mine e ordigni esplosivi e alla formazione di sminatori. A Baghdad, Ramadi, Mosul, Karbala, Diwanyia, Bassora, Nassiryia e presto a Kut e Amarah.
Ogni nostra scelta si è basata sui principi umanitari universalmente riconosciuti.
Il dibattito italiano (mi riferisco a quello del centrosinistra, della sinistra e dei movimenti) è molto ricco e utile all?approfondimento di una materia che ci ha toccati così nel vivo e che, presumibilmente, continuerà a toccarci nel vivo anche nel prossimo futuro.
In tutto questo dibattito una grave mancanza mi ha colpito e continua a colpirmi. Ogni posizione parte da propri principi e propri valori, da analisi politiche anche molto serie, ma nessuna parte da ciò che vuole, in realtà, oggi il popolo iracheno. È così importante conoscere cosa vogliono gli iracheni che si rimane fortemente indignati per tale mancanza. Le posizioni sono diversificate anche in Iraq, ovviamente e, senza centri d?indagine è difficile conoscere, con dati quantitativi, cosa pensino gli iracheni. Dai nostri continui contatti in tutti questi mesi (non abbiamo mai abbandonato l?Iraq), dai miei stessi contatti in questi giorni recenti, un?idea del sentimento più diffuso in Iraq ci sembra di essere riusciti a farcela.
Può essere così sintetizzata: prevale la considerazione che oggi, nelle condizioni attuali dell?Iraq, non sia auspicabile un?immediata uscita dei contingenti militari. Tutti sanno (e lo sa anche chi, tra gli iracheni, è interessato alla destabilizzazione continua, al potere attraverso la forza, ai saccheggi, all?aggravarsi dell?insicurezza) che un?interruzione immediata della presenza militare internazionale, pur odiata e mal sopportata, potrebbe produrre condizioni di gravità tali da peggiorare di gran lunga la già difficile situazione, fino ad aprire le porte a conflitti che potrebbero facilmente e rapidamente sfociare in una sanguinosa guerra civile.
Pur rimanendo con convinzione contro l?uso della forza, di fronte alla complessità della realtà irachena non ci sentiamo in sintonia con un pacifismo puramente ideologico. Tale discordanza non significa certo essere a favore della guerra.
La guerra non può mai essere lo strumento per la soluzione delle controversie internazionali; vanno ristabiliti il diritto e la legalità internazionali, il riconoscimento dell?autorità dell? Organizzazione delle Nazioni Unite, rinnovandola e rafforzandola; occorre lottare contro il potere della forza per far prevalere un ordine internazionale basato sulla forza del diritto, ad iniziare dal diritto a vivere nella pace e nella giustizia, e su regole condivise e rispettate; va corretto il tragico errore della guerra all?Iraq, presto, quanto prima, con il ritiro delle forze occupanti innanzitutto, ma non si faccia ora l?errore, forse altrettanto tragico, di provvedervi senza prima avere individuato e attuato presto una valida alternativa. Questa deve prevedere il ruolo guida dell?ONU, appena ve ne saranno le necessarie condizioni, un?assemblea costituente, possibilmente rappresentativa dei vari Governatorati, che conduca il paese a libere elezioni, un reale potere di governo iracheno anche nella transizione, una forza multinazionale di sicurezza e di mantenimento della pace definita dall?ONU.
Abbiamo insistito e insistiamo molto sulla necessità di un ruolo primario delle Nazioni Unite in Iraq. Ma, al contempo, ci si rende conto che l?ONU, con la priorità assoluta data alla sicurezza del proprio personale, non riesce purtroppo ad assumere alcun tipo di responsabilità in questa difficilissima fase. Quanto è successo il 19 agosto scorso, con la decapitazione dell?ONU in Iraq, continuerà a pesare nelle scelte di Kofi Hannan. La maggioranza voterà sì al decreto che proroga e finanzia la missione militare (che non può essere definita umanitaria perché non può corrispondere ai principi umanitari internazionalmente riconosciuti). Si tratta della stessa maggioranza che si è assunta la responsabilità di appoggiare la guerra e di decidere l?invio di un contingente militare anche senza l?indispensabile legittimazione internazionale.
L?opposizione, che non ha voluto la guerra e non ha voluto la missione militare di appoggio alla Coalizione, coerentemente rinnova oggi il suo no a quelle decisioni. Lo rinnova trovandosi però di fronte ad un decreto che mescola missioni legittimate dall?ONU e attuate nel quadro del diritto internazionale, giuste o sbagliate che siano, con questa in Iraq che non ha legittimazione e si situa al di fuori di tale diritto. La richiesta di voto è quindi viziata nella forma e nella sostanza e, giustamente, va rifiutata.
Come? Con la non partecipazione al voto, come la deliberata confusione del testo del decreto spingerebbe a fare? Oppure votando no all?intero decreto? A nostro avviso, entrambe le scelte sono legittime e valide e non dovrebbero essere vissute in contrapposizione. Entrambe vanno però chiaramente motivate e articolate dalle varie forze politiche: facendo valere con decisione la necessaria coerenza politica insieme al primario interesse della popolazione irachena e avendo l?avvertenza di rimanere al tema, cioè all?interno dei contenuti del decreto e della sua confusione viziata e strumentale. Anche la proposta politica per la fase di transizione e il futuro dell?Iraq va posta con la massima coesione e il massimo peso politico al Governo e al Parlamento.