Certe volte anche gli ingegneri e gli ?smanettoni? cercano di fare delle sedute diplomatiche, sempre sorvegliati dalla lunga e ben visibile mano dell?economia. È il caso della prima parte (la seconda si terrà a Tunisi nel 2005) del summit sulla Società dell?Informazione svoltosi dal 10 al 12 dicembre scorsi a Ginevra, che ha visto la partecipazione dei principali attori internazionali, ONU compreso. Gli argomenti di rilievo erano sostanzialmente due: definire chi e come gestirà il governo di Internet e trovare delle soluzioni per ridurre il Digital Divide, il divario digitale fra Nord e Sud.
Nel primo caso, al momento il grosso di Internet è controllato dall?ICANN (International Corporation for Assigned Names and Numbers), un ente americano senza fini di lucro ma strettamente dipendente dal dipartimento del Commercio, che si incarica di gestire diritti e doveri nell?assegnazioni degli indirizzi Internet, ma che è stato notevolmente criticato perché sostanzialmente sotto esclusivo controllo di Washington. Da una parte infatti abbiamo un bene pubblico oramai mondiale, Internet, che per forza di cose risponde ad interessi generali e che dovrebbe essere slegato da controlli economici e politici; dall?altra si teme a ragione che le pastoie burocratiche di una eventuale eccessiva ?democratizzazione? possano bloccare uno sviluppo futuro e rapido delle norme necessarie a rendere la Rete libera. Una delle proposte avanzate consiste nell?affidare ad un organismo intergovernativo, come l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (UIT), dipendente dall’Onu, alcune competenze chiave in materia di gestione del Web, fra cui l’amministrazione dei nomi dei domini o la lotta contro lo spam, oppure di far evolvere l?ICANN in un organismo effettivamente sovranazionale,con pari potere decisionale fra tutti i partecipanti: governi, aziende e Società Civile.
Nel secondo caso, la strada è ancora molto lunga e costellata da tante parole e pochi fatti. La parte del leone l?ha fatta Abdoulaye Wade, presidente del Senegal, che è riuscito a strappare un milione di dollari come fondo iniziale per informatizzare il Terzo e Quarto Mondo, e a proporre una donazione di un dollaro per ogni computer o software venduto dai paesi più ricchi. I risultati sono stati racchiusi in corposi documenti, una Dichiarazione di Principi e conseguenti Piani di Azione, che però spesso contrastano con alcuni partecipanti. È il caso di paesi come Cina, Cuba ed Iran, che hanno accettato ?l?universalità, l?indivisibilità e l?interdipendenza di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali?, nonostante al loro interno non siano esattamente esempi di libertà di espressione. Questi stessi paesi hanno infatti proposto un ruolo più incisivo dei singoli governi nella gestione di Internet, rischiando però la paralisi decisionale e gestionale.
Purtroppo ci sono stati alcuni elementi veramente spiacevoli che hanno giocato contro gli ideali di base di libertà e democrazia propugnati dal summit. Sono stati infatti completamente esclusi dai lavori i Reporters Sans Frontières, che hanno recentemente pubblicato un dossier sulla libertà di informazione nel mondo (secondo il quale l?Italia viene al 53esimo posto dopo diversi paesi in via di sviluppo), e inoltre tre ricercatori hanno scoperto che nei badge di accesso alle strutture del convegno erano inseriti dei chip che tramite delle radiofrequenze tracciavano gli spostamenti di giornalisti, delegati, ministri e rappresentanti, violando pesantemente la privacy.
Il nodo gordiano dell?ICANN non è stato minimamente risolto ma solamente procrastinato, forse al 2005, in attesa di accordi e scambi diplomatici.
Sicuramente la presenza di Kofi Annan ha permesso di raggiungere l?intesa secondo la quale Internet non può essere gestita solo da enti governativi o para statali, ma da un tripartitismo composto da Stati, Privati e Società Civile, altrimenti è certa la rottura del circolo virtuoso che ha sviluppato la Rete fino a quello che è ora.
Anche il ministro Stanca, presente ai lavori, non ha lesinato dichiarazioni, ma l?impressione è che il recepimento almeno dei principi di base promulgati a Ginevra nel nostro paese sarà lunga e difficile. A causa della naturale lentezza del Legislatore Italiano ad adeguarsi alle nuove tecnologie, della promessa non ancora mantenuta di realizzare una delle tre I del programma elettorale del Primo Ministro e di una generale scarsa comprensione da parte della Burocrazia delle nuove sfide che la Società dell?Informazione necessariamente pone, cambiando mentalità, modo di agire e di partecipare collettivamente alla Res Publica. Possiamo noi, nel nostro piccolo, contribuire a cambiare mentalità, approccio e modo di operare? Me lo auguro di cuore.
Come si decide il futuro del Web sopra le nostre teste.