La mancanza di una politica economica, che valorizza la ricerca, espone l?Italia all?involuzione economica.
La situazione della ricerca in Italia esprime delle carenze strutturali storiche, che contraddistinguono un Paese spesso privo di una politica economica all?altezza dei tempi.
In questo senso la proposta di legge del Ministro Letizia Moratti, del 16 gennaio 2004, esprime una situazione della ricerca italiana, che progressivamente peggiora sempre più.
Secondo il disegno del Ministro i ricercatori assunti dalle università diventano co.co.co., ossia semplici collaboratori, con contratto di 5 anni, rinnovabile una sola volta. Questa innovazione legislativa dovrebbe stimolare l?attività di ricerca, con la fine dei contratti a tempo indeterminato e qualcuno pensa anche dei ricercatori. Effettivamente il percorso formativo per diventare un ricercatore è di per sé molto arduo e mal pagato, tanto da non assicurare l?autosufficienza economica ai dottorandi, che rappresentano uno dei primi passi di iniziazione alla carriera di ricercatore e di docente. Se dopo questo lungo e duro percorso si prospetta anche un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, difficilmente chi vuole occuparsi di ricerca lo può fare in Italia. Questa riforma potrebbe addirittura instillare nei giovani il rifiuto ad occuparsi di un campo così affascinante, ma insicuro e difficile, con poche prospettive.
Di fronte a questo quadro è evidente che si incrementerebbe il fenomeno della fuga dei cervelli all?estero, contemporaneamente ad una contrazione del loro numero.
Per quel che riguarda il reclutamento dei docenti, ovvero il livello successivo a quello dei ricercatori, il disegno di legge prevede la reintroduzione di un esame nazionale. Questo significa che la nomina dei professori non è più appannaggio delle università, che possono scegliere di assumerli con un contratto a tempo indeterminato o meno, ma del Ministero dell?Istruzione e della Ricerca. Dalla lista dei professori ?decisa? dal Ministero, le università potranno scegliere i propri professori, con un contratto a tempo determinato di tre anni, rinnovabile una sola volta.
Alla scadenza del rinnovo contrattuale, le università sono obbligate ad assumere o meno il candidato con un contratto a tempo indeterminato.
Per il Governo, la precarizzazione di questo percorso professionale è funzionale ad uno stimolo all?attività di ricerca e didattica, ma l?insicurezza che produce suscita l?aspra contestazione dei professori e dei ricercatori.
Questo quadro, così fosco, si aggiunge ad una situazione della ricerca, degli ultimi anni, a dir poco nera.
Il suo bilancio di spesa si aggira intorno al 1,02% del Pil, nel periodo 1999-2002, il più basso in assoluto tra le nazioni più industrializzate, la media europea è del 2,2%.
I tagli della finanziaria 2002-2003 decurtano questa voce di bilancio, al di sotto del 1% del Pil, provocando il blocco delle assunzioni in questo settore, portando l?Italia sugli stessi livelli d?investimento per la ricerca dei paesi in via di sviluppo, mentre gli Usa, per lo stesso anno, prevedono un incremento di spesa dell?8%. Le dichiarazioni del 17 novembre 2003, del Ministro Moratti, però, annunciano un incremento di spesa dello 0,1%, per quanto riguarda la finanziaria 2003-2004.
Questo situazione prefigura un?accentuazione della dipendenza tecnologica italiana da nazioni, come USA e Gran Bretagna, impegnate in un?importante politica di espansione nel campo della ricerca.
A questa ristrutturazione economica se ne aggiunge una politica. Gli enti di ricerca vengono ristrutturati con la finanziaria 2002-2003, ossia divisi in aree e dipartimenti, come il CNR, in questo caso a capo di ogni dipartimento viene posto un manager, nominato dal governo.
Al primo ministro viene assegnato un fondo di 100 milioni di Euro per finanziare attività ritenute importanti. Questi provvedimenti favoriscono la dipendenza della ricerca dal potere politico, contrariamente a quanto accade oggi negli altri paesi più sviluppati, come USA e UK. Questa politica ricalca quella del ministro Thatcher degli anni ?80, in Gran Bretagna, i cui risultati risultano essere decisamente negativi.
Inoltre gli impegni militari italiani all?estero si ripercuotono sulla possibilità di spesa complessiva, compresa quella per la ricerca.
Questo quadro contribuisce e contribuirà ad aggravare la situazione di stagnazione economica che attraversa l?Italia.
Da questi dati emergono pertanto diverse considerazioni:
1. L?Italia decide di indirizzare l?economia italiana verso una politica di corto respiro, che preferisce il guadagno immediato a quello di lungo periodo.
2. Il governo decide di sfidare i paesi meno industrializzati, come la Cina, sul campo dei prodotti a basso contenuto tecnologico.
3. Gli impegni bellici necessitano di coordinare le spese con quelle della ricerca, oltre che delle altre voci di bilancio, cosa non facilissima.
4. La perdita attuale di competitività, delle imprese italiane, è anche favorita da questa politica economica.