In un mondo in cui tutto appare ormai esportabile, dagli sportivi alle religioni, dai sistemi elettorali alle teorie economiche e produttive, anche la democrazia è oggi una grande merce. Si tratta di merce da far conoscere a tutti, il grande tesoro da condividere con tutti.
Questa perlomeno è stata la tendenza registrata sino a poco tempo fa, ovvero fino a quando drammatici e allo stesso tempo complessi eventi storici hanno incrinato quello che mostrava avere tutti i crismi di un dogma.
La controversa guerra in Iraq, l?altrettanto problematico passaggio alla fase post-bellica per giungere al famigerato passaggio di consegna nelle mani del popolo iracheno di un paese vessato da una storia di dittature e terrore, hanno lentamente portato alla luce un dubbio per troppo tempo rimasto nascosto; una domanda prima bisbigliata e poi formulata in tutta la sua complessità: la democrazia è esportabile?
Proprio da questa gravosa, forse fastidiosa, domanda parte Amartya Sen, premio Nobel per l?economia nel 1998, nel suo recente scritto ?La Democrazia degli altri? edito da Mondadori, non tanto per fornire una risposta univoca, piuttosto per sgombrare il campo da banali e erronee certezze culturali e per fornire una possibile, certamente più ampia, dimensione al concetto di democrazia.
Con linguaggio chiaro e sapiente precisione, l?autore impegna la prima parte dell?opera, peraltro di facile lettura, in un? attenta operazione di smantellamento di tutti quei luoghi comuni afferenti alla democrazia, primo fra tutti la matrice quasi, se non esclusivamente, ?occidentale? della stessa.
Le obiezioni che Sen enuclea, soprattutto alla luce della recente storia internazionale sono fondamentalmente due: oltre alla suddetta occidentalità della democrazia, l?altro grande dogma sembra essere la millantata poca efficacia della stessa nei paesi più poveri. Amartya Sen riporta peraltro tali argomenti ad un più importante, decisivo errore compiuto proprio dall?Occidente nei confronti della democrazia, ossia l?aver troppo spesso mortificato il contenuto di tale concetto alla problematica elettorale, quasi a voler limitare tutta la dimensione democratica ad una questione di tecnica elettorale.
Tutto ciò, ammonisce l?autore, risulta molto rischioso: anche in Unione Sovietica si svolgevano le elezioni e lo stesso Saddam Hussein si è più volete affermato come presidente eletto dal popolo.
Urge dunque la necessità di guardare alla democrazia in modo più ampio, questa volta sì in maniera globale, per meglio comprendere le radici, i connotati e soprattutto le potenzialità della stessa.
In questo senso, Sen si lancia in una serie significativa di esperienze diverse per periodo storico, provenienza geografica e matrice culturale, tutte con il tratto comune di aver fornito un contributo, più o meno ampio, a quel concetto ? la democrazia ? la cui genesi è ormai riconosciuta nella Grecia del V secolo. L?autore passa così da Alessandro Magno a Nehru e alla nascente Costituzione indiana del 1947, da Nelson Mandela e il Sud Africa del dopo apartheid al Giappone di Shokotu del VII secolo.
Tale analisi non vuole essere, nelle parole stesse di Sen, un?operazione di pura condanna nei confronti dell?Occidente, piuttosto una restituzione di meriti a tutti quei fattori, quegli eventi, quei risultati raggiunti in ogni parte del mondo che hanno contribuito alla costruzione di un concetto così importante per la storia dell?uomo.
Proprio da questa restituzione, da questa più ampia prospettiva si sviluppa il pensiero dell?autore. Pensiero che occupa la seconda parte del saggio o, se si preferisce, che costituisce il nucleo centrale dell?intero libro. Quasi a voler dire che la democrazia prima che un sistema è un?occasione di confronto, di crescita che non può essere ingabbiata in una unica forma o tradizione culturale.
Proprio questo sembra infatti essere il senso dell?opera: un?occasione di dialogo, di riflessione, anche magari con qualche errore, ma sempre e comunque con il dichiarato desiderio di ritrovare, di scoprire un comune terreno per un confronto che sia non caratterizzato da contrasti, quanto piuttosto dalla volontà di crescere insieme.