I problemi riguardanti i diritti dei bambini nel mondo sono sempre più spesso oggetto dell’attenzione della società contemporanea: incontri, dibattiti, convegni. Tutti abbiamo negli occhi immagini di bambini che muoiono per fame, malattia, di bambini soldato, di bambini costretti a lavorare in condizioni disumane. E chi di noi a Natale non ha inviato qualche sms ad una organizzazione umanitaria?
Difficilissimo è parlare dei diritti dei bambini che vengono calpestati in Italia. Anche nel nostro Paese vi sono bambini che lavorano (35.000 soltanto a Napoli), bambini abbandonati, e qualcuno ancora oggi muore di fame.
Oggi vorrei che insieme riflettessimo sui diritti dei bambini in ospedale, sanciti dalla Convenzione Internazionale sui Diritti dell?Infanzia approvata il 20 novembre 1989 dall?Assemblea Generale delle Nazioni Unite che all?art. 23 dice:
?Gli Stati parti riconoscono che un fanciullo fisicamente o mentalmente disabile deve godere di una vita soddisfacente che garantisca la sua dignità, che promuova la sua autonomia e faciliti la sua partecipazione attiva alla vita della comunità.?
Parliamo di un diritto, non di una mia opinione o di un sogno.
Le immagini di qualche spot che mostra i bambini in ospedale sorridenti, in compagnia di qualche clown potrebbe far pensare che tutto va benissimo. Purtroppo non è così. Ad iniziare dal fatto che non in molti reparti è possibile avere per qualche ora al giorno un clown, perché non è un servizio di volontari ma di professionisti che vengono retribuiti e questo servizio ha un costo che le direzioni degli ospedali non possono sostenere e non tutte le associazioni presenti nei reparti possono o vogliono spendere per questo servizio. Qui a Roma infatti è il Comune che da anni provvede a sostenere questa iniziativa in tanti reparti.
Tuttavia da una indagine coraggiosa voluta dal settore Politiche sociali della Provincia di Milano nel 2003 , per comprendere il punto di vista dei bambini e dei genitori sugli ospedali, risulta che per i bambini l?ospedale è come una prigione. A Milano.
A Roma, in base all?esperienza vissuta da mio fratello Riccardo, che ha trascorso gli ultimi 11 mesi di vita al reparto di Ematologia del Bambino Gesù, direi che, avendolo saputo, avrebbe chiesto almeno l?applicazione dell?articolo 41 bis, in carcere riservato a quei soggetti così spiccatamente pericolosi da concedergli tuttavia un colloquio al mese attraverso il vetro antiproiettile e il citofono, e due ore d’aria al giorno. Nessuna socialità, niente permessi premio e licenze. Questo articolo comunque ha suscitato critiche, perchè non si possono disporre trattamenti contrari al senso di umanità. In carcere, in un reparto di ematologia pediatrica sì.
Mio fratello è sparito dietro la porta del reparto una mattina e lì ha trascorso, tranne qualche giorno in cui è potuto rientrare a casa, gli ultimi mesi della sua vita. Anche a lui per motivi di sicurezza, per evitare la possibilità di contrarre infezioni dai visitatori, a lui e a tutti gli altri bambini e ragazzi ricoverati, era ed è anche oggi mentre stiamo parlando, impedito di ricevere visite, a parte un genitore che può stargli accanto, ed il reparto ristrutturato nel 1998 non ha previsto neanche un telefono ogni due bambini per stanza. L?uso dei cellulari era vietato e mio fratello non ha potuto telefonare, mai, a nessuno. Questo almeno oggi è risolto, perché alcuni giornalisti che hanno avuto come voi la pazienza di ascoltarmi e di ospitarmi nelle loro trasmissioni, hanno compiuto un piccolo miracolo e così il giorno dopo essere andato in onda, improvvisamente si è scoperto che i cellulari non disturbavano più i macchinari del reparto e tutti i bambini hanno potuto finalmente scatenarsi con i telefonini per sentire almeno le voci delle persone a loro più care. Ringrazio Canale 5 e Rai tre. I miracoli dell?etere.
Un altro miglioramento c?è stato, se visitate il sito dell?Associazione presente nel reparto, scoprirete che oggi, i bambini che devono sottoporsi a trapianto, possono esprimere un desiderio che sarà realizzato. La civiltà, il desiderio del condannato a morte.
Immaginatevi lo scorrere delle ore, giorno dopo giorno, rinchiusi in una stanzetta, in compagnia della mamma o del papà, soli anche loro a combattere contro la malattia, con nel lettino accanto un altro bambino o ragazzo che lotta per la vita, che ad un certo punto scompare perché se ne è andato prima di voi, senza che nessuno vi spieghi nulla, perché non lo vedete più e cosa gli è successo, eppure era stato per mesi l?unico vostro compagno di giochi. Del resto avete saputo qualcosa della vostra malattia in un modo strano: è entrato un medico, dopo due giorni di ricovero,ed a vostra madre che chiedeva ?ora cosa si fa?? ha detto, tranquillamente davanti a voi in modo sgarbato ?che vuole fare signora, la chemio? A 10 anni lo sai che la chemio si fa quando hai un tumore, ma il medico è già uscito ed è tua madre a doverti spiegare cosa sta accadendo. La psicologa compare dopo 6 mesi di malattia, quando ti dedica qualche minuto per dirti che dovrai cambiare reparto, devi essere trasferito al centro trapianti. Ed esce anche lei dalla stanza. Hai anche tu una gran voglia di uscire dalla stanza, di vedere, sentire i tuoi amici, i tuoi compagni di scuola, tuo fratello, i tuoi nonni, ma ti dicono che non puoi. E? di loro che hai bisogno per combattere la malattia, non di un clown due volte a settimana e le pareti colorate. Se sei fortunato puoi essere seguito da uno di quei rari medici che pensa che curarti non è somministrarti la terapia giusta, ma prendersi cura di te, aiutarti. E così rischiando di essere ripreso dal Primario, ti accompagna alla finestra per vedere tuo fratello che è lì sotto, seduto sul gradino di marmo, ti accompagna al bagno e ti fa usare il telefonino, 2 minuti però altrimenti ci scoprono. Così puoi parlare con tuo fratello ma non lo vedi perché al bagno non c?è la finestra.
Io ho un?idea di quanti reparti e quanti bambini trascorrono così tanti mesi, a volte anni, della loro vita. Malati oncologici, bambini con l?aids, bambini sottoposti a dialisi in attesa di un trapianti, oltre il 30% sono stranieri e vengono dai paesi più poveri. Un lato positivo c?è: i bambini che ho conosciuto e che provengono dall?Iraq non si meravigliano affatto, hanno un?idea molto chiara della nostra democrazia, gliela abbiamo appena esportata.
Tornando a Milano, il professor Mantegazza, il ricercatore che ha curato l’indagine, afferma ?che si potrà porre rimedio alla drammatica situazione dei bambini in ospedale, soltanto attraverso un cambiamento di mentalità e di cultura nella progettazione degli spazi e del lavoro in ospedale, che però richiede tempi lunghi. Nell?immediato, invece, si può cercare di cambiare anche solo un piccolo particolare del vivere quotidiano in ospedale.?
Anche io sono partito da qui. Cambiare anche un piccolo particolare. Ma deve essere cambiato in tutti i reparti, perché i diritti lo sono per tutti, non ci si può affidare alle capacità e all?umanità di un Primario, creare dei centri di eccellenza della qualità di vita dei bambini in ospedale e chiudere gli occhi di fronte agli altri.
Il desiderio più grande di Riccardo era quello, una volta guarito, di fare qualcosa affinché la situazione per gli altri bambini potesse cambiare. Io non sono bravo come mio fratello ma ci sto provando.
Dopo aver scoperto che molto poteva essere cambiato mi sono rivolto alle istituzioni, Da alcuni ancora attendo una risposta (Burani Procaccino, Presidente Commissione parlamentare infanzia) ma ho trovato persone meravigliose. Il Sindaco di Roma, l?Assessore Pantano, il Presidente della Provincia Gasbarra, l?assessore Cecchini, Luigi Vittorio Berliri e tanti altri amici hanno reso possibile l?attuazione del progetto in due reparti. Quello che avete appena visto nel video, e il reparto di ematologia del San Camillo. Oggi da questi reparti i bambini possono comunicare con chi desiderano quando e come vogliono, ed anche le distanze sono state annullate. Il primo collegamento è stato tra un bambino iracheno e la sua mamma che era dovuta rimanere nel paese d?origine e che non vedeva da sei mesi. Ora si parlano e si vedono tutti i giorni. Mi sono commosso quando dopo qualche giorno dalla consegna delle postazioni mi hanno chiamato dal reparto per dirmi che era già divenuta un?abitudine e che la prima cosa che fanno i bambini ed i ragazzi quando entrano per un ricovero è presentarsi in infermeria a chiedere la loro finestra sul mondo.
Non so come riuscirò a fare in modo che tutti i bambini di tutti i reparti possano abbattere il muro dell?isolamento, per quest?anno ho un altro piccolo ma grandissimo obiettivo: abbattere questo muro in altri due reparti.