Inizia oggi alla Farnesina la due giorni di conferenza internazionale sulla giustizia in Afghanistan. Riportiamo la testimonianza diretta di un giovane afghano.
Il mio paese si trova nel cuore dell?Asia Centrale, è un luogo arido, aspro e povero, ma per la sua posizione ?strategica? ha conosciuto varie occupazioni militari da parte straniera. Da che ho memoria non ricordo un solo giorno di pace nel mio paese. Prima i russi, poi i taleban e a questa lista devo aggiungere anche gli americani.
Nel 1996 i taleban hanno occupato Kandahar, la mia città. Avevo quattordici anni quando hanno ucciso mio padre con l?accusa di aver collaborato con i russi durante l?occupazione sovietica. In quel periodo assistere o apprendere della morte di qualcuno per mano dei taleban era diventato ?normale?. Sì, la gente non si stupiva più, eravamo assuefatti al dolore, alla morte, agli omicidi.
Io a un certo punto non ho potuto fare a meno di andare via e il mio è stato un lungo viaggio, un viaggio alla ricerca di un?identità, di un nome, di un passaporto, di un foglio qualunque sul quale ci fosse scritto chi ero. Per ottenerlo ho dovuto aspettare sette lunghi anni, sette anni di buio.
Sono partito dall?Afghanistan all?età di sedici anni e ho vissuto in Iran, in Pakistan, in Turchia, in Grecia e sempre come ?clandestino?. Ho fatto tutti i lavori che mi sono capitati e mai un solo giorno mi sono sentito libero. Ero sempre pronto a fuggire dalla polizia, per strada, al lavoro, durante i controlli in fabbrica. Continuavo una vita che non sentivo mia, pensavo sempre e solo a sopravvivere e appena mi si presentava l?occasione cambiavo paese alla ricerca di un?esistenza dignitosa, fuori dall?ombra. Posso dire che è stata la mia ostinazione a portarmi in Italia. Ho fatto cinque tentativi prima di raggiungere Ancona. Ormai i miei amici afgani rimasti in Grecia ci scherzavano su: ?Tu non riuscirai mai a entrare in Italia??, mi dicevano e ci ridevamo sopra. Mi sentivo sempre in attesa?
Finalmente nel 2000 sono arrivato in Italia. Ancona è stato il primo approdo e Roma la mia destinazione finale. La stazione di Piramide è stata la mia casa per otto mesi, io e i miei ?fratelli? afgani dormivamo lì e intanto aspettavo la risposta della Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di Rifugiato. Quando, dopo 16 mesi, ho avuto lo status umanitario, non mi sembrava vero. Finalmente documenti e la possibilità di trovare un lavoro ?non al nero?. L?attesa era finita, ero finalmente A. K., ero qualcuno e nel frattempo avevo anche iniziato a studiare. Io che nel mio paese ero analfabeta, ho preso la licenza media e ora so scrivere e leggere l?italiano, ma non la mia lingua madre.
Strano destino di chi nasce e cresce in guerra e poi ha la fortuna e la forza di andare via, di chi è costretto a fuggire lontano dalla propria terra per potere, alla fine, ritrovare se stesso.