Il mercato delle armi è un mercato che non conosce stagioni buie. Gli Usa sono attualmente in testa alla ?classifica? degli esportatori di armamenti, anche se tra il 2000 e il 2001 la Russia ha rischiato di contendergli il posto aumentando il volume del suo export del 24%. La Cina, invece, è il principale paese destinatario delle armi: nel 2001 ne ha acquistate il 44% in più rispetto al 2000. Al terzo posto tra i paesi destinatari troviamo l?India, che rispetto al 2000 acquistava, nel 2001, il 50% di armi in più. A seguire l?Arabia Saudita, Taiwan e la Turchia.
Il Sipri (Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma) identifica le tendenze nel commercio delle armi tramite un particolare indicatore, il cui valore è rappresentato dal volume del traffico internazionale delle principali armi convenzionali e della tecnologia militare per la produzione legale delle stesse armi. Secondo il Sipri il valore globale dei trasferimenti internazionali di grandi sistemi d’arma convenzionali ha raggiunto il suo culmine tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, in pieno bipolarismo, toccando cifre che oscillavano tra i 40 e i 50 miliardi di dollari. Principali esportatori erano le due grandi potenze Usa e Urss, che coprivano circa l’80% delle forniture globali seguendo prevalentemente logiche di schieramento.
A partire dal 1988 il volume degli scambi ha iniziato a decrescere sensibilmente. Tra le cause, il crollo della domanda di armamenti da parte dei paesi in via di sviluppo, oppressi dal debito, la firma dei primi accordi sul disarmo, il collasso dell’Unione Sovietica, che copriva una parte rilevante del commercio, la diminuzione delle spese militari, e la fine del sistema bipolare. Nel decennio 1991-2000 il valore dei trasferimenti internazionali di armi si è attestato sui 21 miliardi di dollari, circa la metà del valore raggiunto nell’era del boom. I principali esportatori di armi erano, e sono ancora, gli Stati Uniti con il 47% delle esportazioni mondiali. Seguono la Russia, in netta ripresa dopo il crollo seguito alla dissoluzione dell’Urss, con il 15% del totale, e la Francia con il 10%. Regno Unito e Germania si collocano al quarto e quinto posto con percentuali che oscillano tra il 5% e il 10%. I primi cinque esportatori coprono circa l’85% dell’offerta mondiale di armi. L’Italia si colloca all’ottavo posto dopo Olanda e Ucraina. Trainano invece la domanda di armamenti i paesi del Medio Oriente, con il 28% di importazioni sul totale (33% se consideriamo anche la Turchia) e i paesi dell’Asia (34%), in particolare orientale e meridionale, nonostante la battuta d’arresto seguita al crollo dei mercati e delle borse.
A tale mutamento quantitativo si accompagnano dei mutamenti a livello qualitativo. Negli ultimi anni gli effetti della globalizzazione dei mercati, uniti a quelli della fine della logica bipolare e alla riduzione della domanda di armamenti, hanno favorito l’affermarsi di variabili economiche che acquistano un peso sempre maggiore rispetto a quelle politico- strategiche, e portato ad una progressiva internazionalizzazione del commercio internazionale di armi. Sono sempre più diffuse le forme di coproduzioni, le joint ventures internazionali e la costituzione di vere e proprie società transnazionali che collegano le industrie di paesi diversi, favorendo la proliferazione orizzontale del mercato. I mercati si denazionalizzano e si depoliticizzano, e il mercato delle armi non è affatto estraneo a questo fenomeno. Naturalmente, tutto questo pone nuovi problemi di trasparenza e controllo, rendendo il commercio delle armi ancora più fluido e difficile da gestire.
I dati del Sipri, Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma