C?è una nuova guerra che i russi stanno combattendo. Una guerra senza esclusione di colpi, fatta di attentati, di ritorsioni, di crisi di governo, di morti uccisi dal freddo. Una guerra che non viene combattuta con armi convenzionali dalla mitica armata rossa in qualche angolo remoto ai confini della federazione, ma con carte bollate e chiavi inglesi da parte di tecnici e dirigenti della Gazprom. È la guerra del gas, nuova strategia politica ed economica dove si giocano le ultime mire imperialistiche dell?ex Unione Sovietica. Una guerra scoppiata all?inizio dell?anno dopo la riduzione della portata del gas ed in concomitanza con il grande gelo.
La Federazione Russa nel mercato del gas riveste un ruolo dominante. Da sola, con i suoi giacimenti in Siberia, è in grado di sostenere buona parte del consumo mondiale di metano. Questa supremazia determina nei russi una politica energetica di palese aggressione nei confronti delle ex repubbliche socialiste sovietiche e dei partners europei. Una politica che viene decisamente viziata dagli stati clienti della Gazprom, paralizzati nell?attuale impossibilità di approvvigionarsi di gas diversamente dalle fonti odierne, e che ne fa nel prossimo periodo, a breve e medio termine, un?arma vincente e convincente per i Russi nello scacchiere energetico mondiale.
Il gas metano ha solo due modi per essere trasportato, via terra in stato gassoso con l?attuale rete di distribuzione che maglia l?Europa in lungo e in largo, e via mare in stato liquido con apposite navi cisterna. La rete del gas ha indubbiamente i suoi vantaggi rispetto alla via marittima, primo perché il flusso è continuo e secondo perché è già funzionante. Questa erogazione di gas continua, centinaia di metri cubi al giorno vengono riversati solo in Europa occidentale, sono regolati da specifici contratti di vendita e di vettoriamento per il trasporto. Il loro intreccio è un delicato compromesso economico ed energetico tra le varie nazioni che acquistano gas o che concedono il passaggio delle condotte sul loro territorio. Il caso dell?Ucraina, della Germania, della Georgia e della Armenia, hanno messo in evidenza tutta la fragilità di questi accordi per i clienti stessi. Detentore di un contratto particolare di vettoriamento con la Gazprom, il governo Ucraino è stato costretto a rinegoziarne la parte economica dopo una evidente riduzione del gas da parte russa, subendone così la conseguente crisi politica interna nonché l?accusa di furto dalla committente. La Germania di Schroeder, pur di ovviare alla sindrome Ucraina, ha iniziato i lavori per la posa di una condotta sub-marina nel Mar Baltico, insieme alla Gazprom, che servirà a portare il gas direttamente in Germania senza pagare né il vettoriamento né il rischio di incorrere in riduzioni dovute a paesi terzi. La Georgia e l?Armenia sono rimaste senza gas dopo l?esplosione della condotta adduttrice. Solo un incidente o ?fine? tattica russa? In ogni modo tutti e quattro i casi evidenziano l?estrema dipendenza delle nazioni, deboli o forti che siano, dal gas siberiano.
E in Italia? La Gazprom con le continue riduzioni di quote gas verso l?Europa e l?Italia sta inducendo (forzatamente?) il nostro governo a concedere alla stessa la vendita diretta del gas nel mercato italiano pur di garantirne così il continuo approvvigionamento. Non a caso c?è stato un cambiamento in seno all?Eni che ha portato alla sostituzione di Mincato con Scaroni. Dove prima andava l?amministratore delegato dell?Eni oggi va Scajola. Inoltre, la legge Letta ha imposto in Italia la privatizzazione del mercato dell?energia, cambiandone totalmente la fisionomia. Società come Enel ed Eni, in primis, forse capaci di mantenere un grado contrattuale maggiore di fronte al potere assoluto di società come la Gazprom, sono oggi indotte alla dismissione. Precipitando così inesorabilmente nella situazione inglese, dove la privatizzazione ha portato alla disgregazione della British Gas e alla comparsa di decine di nuovi attori sul mercato, con la sola evidente conseguenza che il gas a loro costa il doppio di quanto lo paghiamo noi. Nel frattempo, il governo per fronteggiare la crisi del gas nell?immediato, ha emesso un decreto legge propedeutico al risparmio energetico. Conti alla mano dovremmo passare l?inverno indenni.
Ma il punto vero è un altro, è l?inadeguatezza della politica energetica italiana. L?Italia è il paese dei mille ?no?: no al nucleare, no all?eolico, no ai rigassificatori che permetterebbero l?acquisto di gas liquido, no all?olio combustibile, no al carbone. Per paesi come la Francia, la Germania e la Gran Bretagna, dotati di centrali nucleari, il problema del gas è importante ma relativo. Invece per noi è fondamentale in quanto impossibilitati, attualmente, ad dotarsi di fonti energetiche nostrane alternative alla importazione delle stesse da paesi terzi produttori. Ricordiamoci il black-out elettrico di qualche estate fa, è bastato il crollo di un traliccio in Svizzera a mettere in ginocchio l?Italia.
Insomma, bisogna mettere da parte visioni di destra e di sinistra sul problema, è venuto il momento di dotare il nostro paese di una vera e valida alternativa energetica che ci liberi dalla dipendenza estera.