Dopo lo schiaffo di Guglielmo di Nogaret ad Anagni, papa Bonifacio VIII si spense in meno di 40 giorni, distrutto politicamente e moralmente dall?aggressione francese. A poco più di 700 anni di distanza i francesi non hanno perso l?abitudine e ci mollano un altro sonoro schiaffone annunciando la fusione tra la GDF e la Suez. Ma questa volta nessuno in Italia ha intenzione di deprimersi e tanto meno di prostrarsi umiliato di fronte al primo ministro francese Dominique de Villepin.
Il malumore italiano, anche se trasversale e a tinte diverse, è riconducibile comunque ad un unico problema, quale strategia energetica, e non solo, adottare per salvaguardare al meglio il nostro paese. Questa crisi che ha investito l?Italia, e che avrà ripercussioni politiche economiche anche in Europa, scuote diverse considerazioni di ordine programmatico di politica interna ed estera, sia nel centrodestra come detentore dell?attuale governo sia nel centrosinistra come possibile nuovo governo. Auspicabile sarebbe un accordo bipartizan, qualsiasi esso sia, non filtrato dall?attuale propaganda elettorale e che tenga conto delle reali esigenze del paese.
In questi giorni qualcuno sta sventolando una vecchia idea mai tramontata. Era il 5 maggio 1997, prima ancora delle privatizzazioni, quando Franco Bernabè e Franco Tatò annunciarono una joint-venture tra l?ENI e l?ENEL. Certo, la fusione tra le due maggiori società italiane, creerebbe un gigante energetico da 140 miliardi di euro di valore capitalizzato in borsa. Un gigante che stravincerebbe il confronto con le altre società europee del settore, come: i 130 miliardi della inglese Total, i 76 della francese EDF, i 70 della nuova aggregazione tra la GDF e la Suez, i 57 della tedesca E.on e i 41 della possibile aggregazione spagnola tra la Gas Natural e la Endesa.
La creazione del nostro campione nazionale dell?energia potrebbe essere la strada per mettersi al riparo da possibili scalate estere che mirano all?acquisizione dell?intero pacchetto energetico italiano, riuscendo tra l?altro a dare alla nuova realtà una supercompetitività internazionale congrua per sostenere e controbattere le azioni di colossi come la Gazprom. Ma è anche vero che questa è propria la politica che sta facendo la Francia: ?un?industria forte francese è un?industria forte per l?Europa?, e che nel caso della fusione GDF-Suez ci ha danneggiato. Sarebbe come tornare indietro nel tempo, rispolverare vecchie soluzioni che non tengono assolutamente conto del mercato unico e dei suoi meccanismi di integrazione.
Non è facile definire una strategia sicura, quando in tutta Europa c?è questa confusione. Perché il problema non è come rispondere alla ?offesa? francese anche se la tentazione è forte e tanto meno di adottare una politica di reciprocità all?interno dell?Unione. Dobbiamo decidere se arroccarsi anche noi seguendo il modello della Francia pur di difendere apparentemente degli interessi nazionali oppure lasciare che le società europee possano continuare ad acquisire altre fette di mercato nostrano, rimanendo così aperti alla possibilità che entrino in Italia, oltre ad ulteriori capitali esteri, anche quelle sinergie essenziali a rilanciare una economia di fatto stagnante e a dar modo ad una certa idea e modello d?Europa che perseguiamo di non interrompersi nel suo divenire.
Una certa idea dell?Europa