Durante la campagna elettorale scorsa, in alcune diverse occasioni tra le quali i due duelli televisivi di martedì 14 marzo e di lunedì 3 aprile contro Silvio Berlusconi, Romano Prodi ha evocato, se pur brevemente, la felicità degli italiani come obiettivo primario delle tante cose che il programma dell?Unione ritiene di dover compiere se si vinceranno le elezioni. E lo ha fatto con un filo di voce, come se temesse di commettere uno sfondone, come se provasse imbarazzo di dire qualcosa di non politicamente corretto e che non avesse nulla a che fare con il motivo delle elezioni stesse.
Tanti, dall?Unione alla Casa delle Libertà hanno pensato che il professore vaneggiasse. Cittadini qualunque, giornalisti, politologi, tutti hanno considerato questo di Romano Prodi un atto demagogico, privo di realismo, un?intrusione nei fatti privati di ogni libero cittadino, uno spot propagandistico elettorale mal confezionato. Tutt?altro. L?argomento che ha toccato Romano Prodi invece è andato dritto al cuore perché è di gran lunga l?unico elemento vero, essenziale e coagulante di tutti gli sforzi che una società civile e democratica ha il dovere di produrre, e in profusione, per permettere il più possibile a tutti i cittadini la piena realizzazione della propria felicità.
Ogni democrazia per essere tale ha l?assoluta necessità di avere intrinsecamente radicata nel suo dna, e palesemente sancita nelle leggi che regolano la società nella sua stessa dinamicità, la possibilità per ogni cittadino di soddisfare la propria ricerca della felicità e di poter condurre una vita nella fruizione della stessa alla pari della soddisfazione di altri valori basilari come la libertà, la famiglia, il lavoro e il diritto di vivere. Per questo i padri fondatori degli Stati Uniti, e non utopicamente, inserirono nella costituzione americana la ricerca della felicità come valore fondamentale e diritto inalienabile di ogni essere umano.
Certamente nessuno può pretendere che Romano Prodi ci dia la felicità o ci indichi quale strada percorrere per averla. Essa è un valore talmente soggettivo e unicamente di proprietà della nostra anima che nessun uomo politico al mondo sano di mente e chiamato a gestire la cosa pubblica può avere la pretesa e la superbia di pensare di essere in grado di dare la felicità ai propri cittadini. L?intento di Romano Prodi, alla pari di quello dei padri fondatori americani, è semplicemente quello di riportare il battito cardiaco della società italiana sul ritmo sano di valori sostanziali, concreti e vitali, propedeutici per il bene comune della gente e dell?intero paese. Valori sicuramente molto lontani dalla spasmodica corsa all?egoistico arricchimento personale a tutti costi, dall?ipocrita intolleranza zero sparata verso tutto e tutti, dalla mostruosa disuguaglianza fra gli stessi cittadini, figli di operai e di imprenditori, voluta ancora da qualcuno come se sancita divinamente per diritto famigliare di casta o di denaro.
La felicità evocata da Romano Prodi, guardando per aria e accennando quel suo timido sorriso bonario, è null?altro che il desiderio della nostra felicità. Un desiderio di felicità che abbiamo dentro e che troppo spesso abbiamo stupidamente vergogna di esternare e di pretendere per noi stessi e per le persone che amiamo. Un desiderio di felicità che nascondiamo anche a noi stessi come fosse tra le peggiori malattie che abbiano mai colpito il genere umano.