Non c?è bisogno di aver frequentato la Chiesa fin da piccoli come chierichetto o semplice praticante, o di aver fatto le scuole elementari dalle suore, o di avere uno zio sacerdote o missionario in qualche parte del mondo, per capire e praticare il concetto evangelico di ?ama il prossimo tuo come te stesso?. Anzi, ci viene spontaneo. Addirittura ne traiamo un benessere in quel voler cercare a tutti i costi di mettere a proprio agio l?altro che ci vive accanto. E ci abbiamo costruito tutta una civiltà, una serie di valori, un modo di vivere gentile e rispettoso, colmo di attenzione verso le esigenze del prossimo, oltre che alle nostre.
La nostra società si fonda proprio su questa semplice verità di duemila anni fa, che ancora oggi dopo secoli di guerre, paci e rivoluzioni in ogni angolo del mondo, è quanto mai di più democratico e civile ci possa essere. Ma, alcune volte, anche nella nostra cosiddetta società ?cristiana? e laica, ci ritroviamo costretti a malincuore a dover rinunciare, per fortuna solo temporaneamente, al bellissimo insegnamento di Gesù, e questo solo perché spinti dalla necessità vitale di trovare assolutamente uno spiraglio di oggettività che ci permetta di sopravvivere accanto al nostro prossimo senza scatenare ad ogni occasione un conflitto.
Questa è una necessità naturale, fisiologica, che ci troviamo a gestire comunque e ovunque per capire se una persona o un contesto di persone ci amino per davvero: in casa con la famiglia, in ufficio con i colleghi, per strada con gli amici o con gli sconosciuti. Ed è proprio nel mettere da parte il nostro rispetto incondizionato negli altri che adottiamo un senso severo di reciprocità verso la persona o le persone con cui ci interessa in quella occasione interagire. Non è la biblica legge del taglione, ma qualcosa di più complesso, articolato, ossia: da me avrai rispetto solo se tu ne avrai altrettanto per me; a casa mia sarai trattato come io lo sarò a casa tua; non pretendere da me ciò che non sei capace anche tu di dare a me; e così via.
In molte occasioni personali agire così diventa pressoché indispensabile, utile per dipanare tutti quei dubbi e quelle frizioni che generalmente rendono la convivenza con altre persone impossibile. La reciprocità, in queste occasioni, sembra davvero essere l?unico sistema che può regolare la coesistenza con altri individui. Ma purtroppo, come in questo periodo, viene a volte fortemente evocata da molti a gran voce per contrastare situazioni estreme di disagio, assorgendo a torto a panacea contro tutti i mali proprio in quei frangenti di crisi politica e sociale dove non si riesce in alcun modo a trovare il bandolo di una matassa intrigata. Vedi ad esempio la crisi interna in molti paesi occidentali dovuta alla forte immigrazione oppure alla crisi internazionale con alcuni paesi islamici per il terrorismo di alcune loro fazioni troppo facinorose.
E? giusto cercare di trovare una soluzione che dia una risposta costruttiva e rassicurante a questo disagio della gente. Ma cercare ostinatamente di spostare la reciprocità da un piano personale ad un piano collettivo per regolamentare prassi o scambi culturali e civili tra diverse comunità all?interno dello stesso contesto, se non addirittura tra stati in contesti internazionali, comporta inequivocabilmente per noi società cristiane occidentali oltre che ad una vera e propria caduta di stile anche una forzatura estrema ed uno snaturamento delle nostre più profonde peculiarità. Non dobbiamo assolutamente ritrovarci, nel cercare di evitare a tutti i costi un danno materiale pur grande che sia, ad aver volontariamente innescato un deterioramento spirituale della nostra società ben più grave ed irreparabile del danno stesso.