C’è indubbiamente una grande differenza nel morire per la pace o per la guerra. E il terribile quanto mai offensivo slogan “10 100 1000 Nassiriya”, urlato da decine di giovani nei vari cortei del 25 Aprile e del 1 Maggio, mette in luce nient’altro che la spaventosa miseria culturale e la devianza mentale degli stessi. In quanto i militari e i civili italiani caduti in Iraq, a partire dalla fine delle ostilità dopo l’avvenuta cattura del rais Saddam Hussein, sono morti unicamente nell’intento di svolgere un compito di pace internazionale regolato da una risoluzione ufficiale dell’O.N.U. e dietro l’esplicita richiesta d’intervento, riconfermata tra l’altro in diverse occasioni, da parte delle autorità governative irakene.
“Antica Babilonia” è il nome dell’operazione post bellica avviata alla fine della guerra in Iraq con il compito di garantire le condizioni di sicurezza al fine di consentire la distribuzione degli aiuti umanitari alla popolazione locale e il ripristino delle strutture civili essenziali del paese. L’Italia vi ha partecipato sin dall’inizio costituendo campo base, la famosa Mittica, nella città di Nassiriya, ed arrivando a schierare in questi tre anni fino ad un massimo di 3200 militari. Un lavoro non facile e pieno di rischi tenendo conto della situazione estrema in cui versa il paese, compensato esclusivamente dalla certezza di stare facendo del bene ad una popolazione stremata dalla guerra e dal dopo conflitto che assomiglia sempre più ad una guerra civile cha ad una effettiva ricostruzione.
Da un punto di vista della sicurezza, l’instaurazione con la forza di regole democratiche che hanno tra l’altro portato alle prime libere elezioni nel paese da decenni a questa parte, sembrano essere servite a ben poco, visto che dal 2003, anno d’inizio dell’operazioni di peace-keeping, ad oggi, hanno purtroppo già perso la vita 29 militari e 6 civili italiani. Per questo la città di Nassiriya, come altri luoghi di martirio significativi nella storia recente del nostro paese, le foibe del Carso o le Fosse Ardeatine a Roma, rimarrà nei libri di storia e nella memoria delle generazioni future come luogo di esempio eroico dell’impegno militare e civile italiano speso fino alle estreme conseguenze con il solo intento di mantenere la pace.
Perché morire lavorando nella costruzione e nella difesa della pace non può e non deve essere considerato da nessuno come il morire in un’azione di guerra, dove il compito primario di un soldato è quello di rendere inerme il nemico anche a costo di ucciderlo. Per questo i nostri connazionali, come d’altra parte tutti coloro che fanno lo stesso mestiere nelle varie zone ad alto rischio del pianeta, meritano da parte di tutti noi il totale e definitivo rispetto incondizionato.