Alla Fiera dell’Est un topolino mio padre comprò? Come non ricordare questa celebre canzone di Branduardi e immaginare che il topolino sia il comune cittadino del mondo contrapposto ai grandi trust economici-politici-militari, che ne scandiscono i tempi della sua esistenza.
La Fiera dell’Est può invece riferirsi al mercato emergente ed arrembante del blocco eurasiatico, in grande fermento e subbuglio, in periodo di globalizzazione, terrorismo planetario, vacanze energetiche e guerre umanitarie. L’Est, l’Oriente, da sempre in un rapporto di amore e odio con il ricco Occidente, oggi comincia a fare la voce grossa; è questo il caso di Cina, Russia ed Iran che rivendicano un loro spazio per l’affermazione internazionale dei propri interessi economici e geopolitici, opposti a quelli dell’Impero americano ed i suoi stati alleati e clienti. Una storia che Gian Battista Vico direbbe è stata scritta tante volte, anche se la storiografia moderna gli risponderebbe ma con trame diverse.

Le trame della globalizzazione da sempre sovrastano noi comuni mortali, il cittadino medio, e rappresentano una verità ineffabile, la verità in sé direbbe Kant. Attualmente ciò che non è prossimo all’uomo è conoscibile attraverso i mass media, che rappresentano la lente mediatica del suo occhio sensibile. Ma la natura dell’uomo non la si può ingabbiare nel mondo dell’ignoranza, della autoreferenzialità, della superficialità, come vorrebbero invece i titani che si spartiscono il pianeta; essa è libera di sognare, di creare, di volere e di rigenerarsi, non accetta sempre e comunque i limiti che gli vengono imposti. La natura umana è portata a conoscere ciò che non sa, che non vede. L’uomo oggi può riacquistare la sua dignità attraverso la ricerca di un’informazione alternativa a quella dei grandi gruppi economici.

Le cronache dei telegiornali nella maggior parte dei casi sono pressoché uguali, le notizie attuali che hanno una cassa di risonanza maggiore e più duratura sono quella dell’impennata impazzita del prezzo del greggio e del braccio di ferro tra Usa e Iran. Ma è tutto qui o c’è dell’altro? Come in un film ad alta tensione è necessario un flash back.

Il 12 maggio 2006 Putin annuncia al mondo il progetto di creare un borsa petrolifera in rubli, a Mosca, delineando una politica basata sulla convertibilità aurea del rublo. L’annuncio viene dopo il rinnovo dell’
alleanza russo-tedesca, concretizzata con il progetto di costruzione di un oleodotto sotto il Mar Baltico, il cui costo si aggira sui 5 milioni di euro. L’alleanza ad ovest fa il palio con il progetto del Cremlino di rinforzare l’alleanza strategica con Pechino. Cosa significa ciò? Il costo del dollaro è molto basso ed è quindi poco conveniente per chi produce petrolio venderlo con tale moneta, inoltre tende ad abbassarsi ulteriormente anche per l’ingente indebitamento estero del governo americano, dovuto soprattutto alle sue consistenti spese militari. In sintesi la svalutazione del biglietto verde alimenta l’inflazione mondiale, perché è più conveniente il suo acquisto con le altre monete e ciò determina l’aumento dei dollari in circolazione, tale massa monetaria stimola l’incremento della domanda di beni, con il relativo decollo dei prezzi. Agli Usa, tuttavia, momentaneamente fa comodo avere una moneta debole, perché ciò favorisce le loro esportazione. La moneta europea, l’euro, è più forte rispetto il biglietto verde, quindi è più sfavorita nelle vendite, ma più avvantaggiata negli acquisti. In una contingenza economica di questo tipo, molti stati europei, con gran discrezione, comprano idrocarburi dai paesi produttori, con pagamenti in euro, ormai da diversi anni. Tale politica ha il fine di evitare scossoni valutari, dovuti al crollo del dollaro, ed a non suscitare malumori nel capo vassallo, gli Usa per l’appunto. Il primo ad annunciare al mondo l’adozione di una moneta diversa dal dollaro per il pagamento degli idrocarburi fu Saddam, nel 2001, sotto lo scricchiolio della sua macchina statale, ma nel corso degli ultimi mesi è aumentato il numero degli stati, che ammettono alla luce del sole di condurre acquisti di prodotti energetici, con monete diverse dal biglietto verde.

Le grandi preoccupazioni per Washington tuttavia non finiscono qui. Oggi Sven Arild Andersen direttore della borsa norvegese annuncia che Oslo sta studiando un piano per lanciare un apposita borsa petrolifera, in realtà come stanno già pensando diversi paesi. Se tal prospettiva si avverasse ci sarebbero più borse dell’oro nero concorrenti alle uniche due attualmente esistenti di Londra e di New York, ambedue in dollari. Tra queste nazioni pretendenti al “titolo petrolifero” c’è anche la malvagia Iran; infatti il 26 aprile del 2006, il ministro del petrolio iraniano annuncia che la realizzazione dell’Iran Oil Borse è ormai pronta per essere lanciata sul mercato mondiale. Quali sono le fosche prospettive che potrebbero spezzare le ali dell’aquila americana? La prima osservazione è che il dollaro non crolla, perché è l’unica moneta ufficiale per acquistare il petrolio e questo monopolio ne sostiene il suo valore di scambio, ma se esso venisse meno.l’impero a stelle e strisce sarebbe spazzato via come un castello di carta sotto il soffio del vento. Per essere più dettagliati l’America acquista armi e altri beni, indebitandosi in dollari, la moneta si svaluta e aumenta l’inflazione, ciò sfavorisce i creditori rispetto i debitori, perché il valore della moneta diminuisce rispetto al prezzo di ciò che si può comprare e vendere. La svalutazione del biglietto verde rappresenta una tassa per il mondo intero, bisognoso sempre più di idrocarburi per lo sviluppo di diverse aree del pianeta, ma il suo potere d’acquisto diminuisce progressivamente. Tale prospettiva è sostenuta dal professore di macro-economia della Ohio State University, Krassimir Petrov, dalle cui analisi economiche, così come di quelle di molti altri commentatori, emerge che lo snodo dell’intricata faccenda ruota tutto attorno all’Iran e alla possibilità di realizzare la tanto agognata borsa petrolifera. Perché? La Persia è il secondo produttore mondiale di oro nero e se i suoi barili fossero venduti non in dollari ma in un’altra moneta, ciò determinerebbe il crollo dell’economia statunitense. Per essere più precisi: essendo molto meno i paesi che acquistano dollari per comprare petrolio, il valore di scambio del biglietto verde diminuirebbe drasticamente con tutte le conseguenze economiche che ne deriverebbero. Nel contesto di questa teoria della bomba monetaria gli Usa sarebbero pronti ad usare le armi tattiche nucleari per salvaguardare il proprio benessere, priorità assoluta, come dichiarato tempo addietro dal Presidente George Bush. A riguardo, sempre il
12 maggio, il nuovo ministro degli esteri britannico, Margaret Beckett, ha affermato di non considerare inconcepibile un possibile attacco all’Iran. Il problema si complica perché questa teoria economica si inquadra in uno scenario geopolitico molto delicato, il cui fulcro è costituito dal già citato Oriente. Domanda: come mai Cina e Russia pongono il veto alle sanzioni economiche dell’Onu contro lo stato teocratico iraniano, così come ogni giorno ci ripetono i telegiornali, senza spiegarci il perché? La risposta va ricercata partendo da un altro flash back. Nel 2001 viene fondata la Shangai Cooperation Organization (Sco), il cui scopo è la cooperazione economica fra paesi eurasiatici, nello specifico Cina, Russia e le repubbliche ex-sovietiche ancora nell’orbita politico-economica del Cremlino. Nel futuro però il progetto è quello di un integrazione regionale sul modello dell’Unione europea. Nel rafforzamento di tale istituzione internazionale, la Russia gioca un ruolo cruciale in quanto esportatrice di idrocarburi; infatti Mosca vorrebbe che in quest’area ci fosse un’unica moneta, il rublo per l’appunto e al prossimo vertice di giugno potrebbe essere messa in cantiere un progetto a tappe, per arrivare a tale obbiettivo. Ma l’Iran cosa centra con l’Sco? La Russia vorrebbe che Teheran entrasse nell’organizzazione vendendo però il suo petrolio in rubli, infatti questo è certamente uno dei motivi che spinge il Cremlino, insieme alla Cina, a tutelare l’Iran in sede Onu, contro le mire belliche occidentali. Il problema che potrebbe frustrare l’imperialismo occidentale non è solo quello persiano, il morso fatale di Tamerlano, ma ve né è un altro non di poco conto, che provoca il fischio alle orecchie del Segretario di Stato, Condolice Rice ed è quello cinese. L’ex impero del Grande Khan, infatti, possiede riserve valutarie per un ammontare di ben 850 miliardi di dollari, se adotterà il rublo come moneta per acquistare il petrolio, di cui ha un enorme bisogno, a cosa potrebbe servirgli una massa monetaria del genere?
Non converrebbe sbarazzarsi di questa marea di dollari per acquistare rubli, provocando però uno shock monetario nell’economica statunitense che determinerebbe una svalutazione del dollaro devastante, a quel punto al Presidente della Federal Reserv potrebbe venirgli un colpo apoplettico.
Fatto è che le tensioni tra Iran e Usa hanno accelerato i progetti di Cina e Russia di integrazione regionale per arrestare le mire espansioniste americane nell’area eurasiatica. Da tutte queste osservazioni sembra proprio che il quadro internazionale si regga su fili molto labili, la cui rottura potrebbe portare a conseguenze imprevedibili.