Dopo un acceso dibattimento il Consiglio Comunale ha approvato lo scorso 7 novembre una mozione di maggioranza sul destino del gassificatore di Malagrotta, al quale resta affidato il futuro smaltimento dei rifiuti di Roma e di gran parte del Lazio.
Il documento, al quale si è giunti dopo una faticosa mediazione interna alla maggioranza, è stata infine sottoscritta anche da Verdi, Rifondazione e Comunisti italiani, fino alla settimana scorsa fermi sulla posizione della sospensione dei lavori che dovrebbero essere oramai ultimati entro la prossima primavera. La mozione, approvata con 31 voti favorevoli, prevede che sia l’Ama ad occuparsi della gestione della struttura, mentre affida al sindaco e all’assessore all’Ambiente il compito di garantire ai cittadini un tavolo di confronto per la valutazione dell’impatto ambientale oltre ad un sistema di monitoraggio continuo sul territorio, riservato anch’esso ad un soggetto pubblico.
I residenti del XV e XVI municipio, che abitano le aree sorte negli anni in prossimità di Malagrotta, si sono costituiti parte civile in quello che ha assunto le sembianze di un processo all’impianto di termovalorizzazione: una posizione tutto sommato comprensibile quella dei cittadini, tenuto anche conto del fatto che l’attuale discarica è gestita dalla Colari, Consorzio Lazio Rifiuti, una società privata gestita fin dal 1992 dall’avvocato Manlio Cerroni, vero e proprio magnate dell’immondizia italiana che nel 2004 è stato anche al centro di una commissione parlamentare d’inchiesta. Più difficili da comprendere gli applausi che An e Forza Italia sono riusciti a strappare agli stessi residenti ventilando una seconda mozione tesa al blocco immediato dei lavori, che non si preoccupa minimamente di proporre soluzioni alternative e che lascia di fatto irrisolta l’emergenza rifiuti.
Le ragioni di un simile atteggiamento politico, completamente svuotato di quella responsabilità di governo che non a caso spetta al gruppo di maggioranza, lascia chiaramente trasparire una volontà di strumentalizzazione rispetto a richieste a cui si è consapevoli di non poter dare effettivo seguito, esibendo la bandiera di una causa che tocca tanto da vicino gli interessi di una parte della popolazione.
Completamente diverse nella sostanza, ma purtroppo non altrettanto negli esiti, le ragioni che devono aver spinto la capogruppo di Rifondazione Adriana Spera, a ritirare la propria firma dal documento finale, scelta su cui sembrano pesare soprattutto le difficoltà che un partito di lotta, capace di grande radicamento sociale, incontra inevitabilmente nell’avvicendamento a partito di governo. Non è semplice farsi carico di scelte impopolari, non è semplice farlo davanti alle accese proteste di una platea, ma non è giustificabile declinare una responsabilità istituzionale che emana direttamente dal voto di tutti i cittadini. Visti gli esiti degli studi condotti tanto sul territorio di Malagrotta che in altre aree in cui è stata adottata la scelta del termovalorizzatore, e tenuto conto anche dell’emergenza in cui imperversa il Lazio sul piano dei rifiuti, il gruppo della Margherita ha ritenuto di dover apporre il proprio sì alla costruzione dell’impianto, che è invariabilmente risultato meno inquinante e nocivo rispetto all’attuale discarica.
Con ciò non si intende minimamente ritenere archiviato il problema dello smaltimento, che necessita anzi di essere affrontato tempestivamente in tutto il ciclo produttivo e sul quale è fondamentale continuare ad investire sul piano della ricerca e dell’avanzamento tecnologico, tenendo nella massima considerazione la salute degli abitanti e il destino ambientale della città.