Nella splendida Isfahan non resta molto a testimonianza di una storia secolare che ha visto convivere – nel cuore dell?Islam sciita – etnie, culture e fedi religiose oggi tanto distanti. Nel silenzio delle vie della Nuova Julfa, il quartiere in cui una corposa comunità armena di fede cristiana si insediò alla fine del XVII secolo per esplicita volontà dello Scià Abbas I, non rimane traccia della vivacità dei commerci e dei mestieri cui era dedita la popolazione, ridotta ormai ad una decina di nuclei familiari e composta in maggioranza da anziani.

Nella vie silenziose della Julfa moderna, il portone aperto e la facciata in ristrutturazione della Chiesa del Santo Rosario significano davvero molto per quanti restano a testimonianza di una comunità tenace, sopravvissuta alle persecuzioni ed ai ripetuti esodi che ad ogni latitudine hanno segnato drammaticamente la storia delle minoranze etniche e religiose.

Il recupero del Complesso di Nostra Signora del Santo Rosario – edificato tra la fine del ?600 e l?inizio del ?700 in quella commistione stilistica che rende unici i luoghi di culto lontani dalla propria patria culturale – promette oggi di restituire al quartiere non semplicemente un luogo di preghiera ed un punto di incontro cristiano, ma di essere un?occasione di apertura al dialogo ed allo scambio interreligioso, un piccolo ma significativo ponte tra Oriente e Occidente.

Il progetto ?Hazrat Maryam?, che l?associazione Anastasis conta di portare a termine entro la fine di questo anno, prevede infatti, accanto al recupero della Chiesa, la nascita di un centro di ricerca per la valorizzazione del patrimonio iraniano, nel tentativo di riportare alla luce tutta la complessità dell?entroterra culturale della Persia moderna. Il progressivo abbandono di Nostra Signora è in effetti il segno tangibile della storia più recente vissuta dai cristiani armeni di Julfa, che a partire dalla rivoluzione islamica hanno conosciuto un costante indebolimento demografico, sfociato in un vero e proprio collasso durante la guerra tra Iran ed Iraq, quando i flussi migratori verso la Turchia, il nord America e l?Australia sono diventati inarrestabili. Secondo stime ottimistiche i cristiani che vivono attualmente nella Repubblica Islamica sono circa 100 mila e benché vedano sancito dalla carta costituzionale il proprio diritto di esistenza, trascorrono in realtà una vita appartata, per molti versi parallela a quella condotta dalla maggioranza musulmana.

La shari?a, che dal ?79 è divenuta legge di stato, interpreta il culto religioso non come una scelta personale bensì familiare e sociale, per cui chi nasce da padre musulmano come chi sposa un musulmano, acquisisce ius sanguis la fede, escludendo di fatto la possibilità di convertirsi (imprecisato ma consistente sembra infatti il numero dei cristiani non dichiarati); norme matrimoniali sempre più penalizzanti hanno inoltre quasi del tutto scongiurato il fenomeno delle unioni miste e la libertà del culto e di associazione è assicurata soltanto all?interno di strutture ben identificate, che nel caso dei cristiani possono essere rette da un solo sacerdote e il cui accesso è riservato esclusivamente ai membri dei rispettivi gruppi di appartenenza; proibita anche qualsiasi forma di proselitismo, tra le cui manifestazioni si annovera anche la banale esposizione degli orari delle funzioni religiose.

Come ebrei e zoroastriani – uniche minoranze riconosciute dal Paese – i cristiani hanno tuttavia proprie chiese, proprie scuole, propri cimiteri, e anche giornali, pubblicati rigorosamente in lingua originale, e persino due rappresentanti parlamentari. Una condizione di rispetto formale che, se possibile, complica ulteriormente la denuncia delle piccole e grandi discriminazioni sofferte dai cittadini non musulmani, per i quali la scelta della fede è a tutti gli effetti una scelta di vita.

Non è difficile immaginare il senso di esclusione, la solitudine e la percezione di vulnerabilità con cui hanno imparato a convivere i cristiani in Iran, dove salvare una Chiesa significa prima di tutto tentare di tamponare un?emergenza sociale che vede questo Paese, nato dall?incontro di popoli e culture diverse, scivolare rapidamente verso un pericoloso conformismo religioso.

Ilaria Costantini