Quando eravamo ragazzini giocavamo a guardie e ladri.
Un gioco “educativo”: ruoli ben definiti, una visione del mondo semplice, ma efficace. I buoni da una parte, i cattivi dall’altra. I ladri scappavano, le guardie rincorrevano. Era solo questione di tempo ma alla fine le guardie vincevano.
Diverso era il gioco della guerra tra bande. Non c’erano motivi veri per lottare, né una vera differenziazione tra le bande. La mia banda doveva vincere perché era la migliore, aveva tutte le ragioni, che poi erano una sola : “è la mia banda”.
Anche da grandi ripetiamo gli stessi schemi. Iniziamo a fare politica con la volontà di rappresentare quel che consideriamo il bene. Che, lo dico subito per evitare fraintendimenti, significa lavorare alla partecipazione; impegnarsi a definire un programma condiviso; avviare un percorso per la formazione di una nuova classe dirigente; innovare i partiti curando e ravvivando il loro radicamento nella società civile, tra i giovani, nei luoghi di lavoro, di studio, di aggregazione sociale, culturale e religiosa. Insomma, vorremmo svolgere il ruolo delle guardie.
Se ci guardiamo intorno troviamo che tanti hanno iniziato questo percorso proprio con l’entusiasmo delle “guardie”, di coloro che si sentono investiti di una missione a difesa di quei valori per i quali si dichiarano disposti a lottare.
Un po’ alla volta però, quella lotta si trasforma. Le “guardie” iniziano a fare alleanze per poter dare forza alle proprie posizioni. D’altra parte anche la tattica è importante. Peccato che da strumento di confronto politico diventi a poco a poco un fine. Fine a sé stessa, palude di mediazioni e di compromessi. Così le mozioni ideali si annacquano, perdono vigore, e si finisce con lo smarrirsi e il rappresentare solo se stessi, o pochi intimi. Il manipolo di guardie è ormai diventato una banda, ed ha ragione soltanto perché è “la mia banda “.
C’è ancora un rimedio a tutto questo. Che quelle guardie, o meglio, quei generali e graduati mandati all’avanscoperta nell’agone politico, siano giudicati ogni giorno da coloro che ce li hanno mandati: gli elettori. Insomma, chi li ha delegati non li dimentichi, li sostenga, ma li richiami anche ai loro doveri, se necessario con le maniere forti. E chi è stato delegato non dimentichi mai chi lo ha scelto e perché lo ha fatto e continui a confrontarsi con tutti coloro che gli hanno concesso fiducia.
Senza voler ridurre la complessità della vita politica a schematismi manichei, questo è l’unico modo possibile perché quel che consideriamo il “bene” (la democrazia come rappresentanza reale e costante, fatta di partecipazione e confronto) abbia qualche possibilità di prevalere sugli opportunismi, sui tatticismi, sulle oligarchie politiche sempre più autoreferenziali.
Non lasciamo che la politica diventi soltanto un confronto tra bande e torniamo a giocare, molto seriamente, a guardie e ladri .