Il recente, virulento riavvio (a proposito dei Dico) di vecchie polemiche sulla laicità dello Stato e sulle cosiddette interferenze della Chiesa, induce a mettere giù alcune (almeno nelle intenzioni di chi le scrive) pacate riflessioni per tentare di riordinare il caotico mescolamento di argomenti e controargomenti che sempre più spesso tende a caratterizzare ogni dibattito nel nostro Paese. E, se possibile, per arrivare ad una conclusione.

Cominciamo con una premessa intesa ad evitare che chi legge queste note debba, anche minimamente, sforzarsi per attribuire (nelle intenzioni, discreditanti) etichette ideologiche in capo a chi scrive: chi scrive queste riflessioni è un cattolico praticante di matrice politica liberale e moderata, che ha votato, negli storici passaggi sulle questioni più delicate in materia di conflitto fra visioni cosiddette laiche e prese di posizione della Chiesa italiana, in maniera ragionata e nient?affatto conforme: no sull?abrogazione del divorzio, sì sull?abrogazione dell?aborto, sì su alcuni quesiti del referendum sulla ricerca sulle cellule staminali con astensione (con intento negativo) sugli altri dei (se non sbaglio) cinque quesiti.

Chiarito ciò, veniamo al primo punto: la questione della legittimità costituzionale (o più in generale della cosiddetta accettabilità politica e civile) delle posizioni della Chiesa sui Dico. Da cattolico e da liberale credo che non si possano accettare dubbi sui seguenti punti:
1. è pienamente legittimo che la Commissione Episcopale Italiana prenda posizione sul tema: i Vescovi sono cittadini Italiani che hanno il diritto di professare la dottrina della Chiesa e di predicare (come cattolico dico, anzi, che hanno il dovere di predicare) quanto più sembri idoneo a difendere i valori della famiglia da ciò che ritengano ad essi contrario;
2. essi inoltre hanno il diritto (e da cattolico dico, anzi, il dovere) di invitare i cattolici a conformarsi al loro insegnamento, anche con azioni che si esprimano in ambito politico: hanno cioè il diritto (anzi, il dovere) di invitare i cattolici impegnati in politica ad agire nel loro ambito affinché le temute minacce non si materializzino in norme potenzialmente negative per i valori che, per il bene comune, si vorrebbero tutelati. I cattolici impegnati in politica saranno ovviamente liberi di valutare l?insegnamento dei Vescovi alla luce della loro coscienza, soppesandone liberamente la compatibilità coi loro doveri di rappresentanti dei cittadini italiani (cattolici e non cattolici, ovviamente), tenendo conto del (civilmente) supremo principio del bene comune;
3. l?espressione di tali diritti dei Vescovi non viola alcuna norma né è contraria ad alcuna prassi civile, come invece lo sarebbe la limitazione di tali diritti dei Vescovi. La conseguente predicazione in qualunque forma svolta è pertanto libera e assolutamente non limitabile.

Con tutta la comprensione che si voglia avere per posizioni contrarie ai tre punti che precedono, giudicherei profondamente illiberale non convenire su quanto detto.

Veniamo rapidamente al secondo punto (il cui esame approfondito, peraltro, qui, esula dall?intento di chi scrive questa nota): il merito del provvedimento in discussione. La proposta sui Dico appare viziata da un intento vagamente dissimulatorio: si voleva, forse, concedere una forma di tutela alle convivenze omosessuali e si è passati attraverso la costruzione di un bisogno (che si presume) diffuso di disciplina di una forma indebolita di matrimonio, stipulabile per raccomandata con ricevuta di ritorno. All?obiezione circa l?effettiva diffusione del bisogno de quo, si è risposto, con sfoggio di orgoglio liberale, che quando si tratta di diritti individuali non importa la numerosità delle situazioni da tutelare: a me, che pure liberale mi sento, pare che,invece, importi, ma comunque andiamo avanti col ragionamento: apparentemente si è preferito affermare che sussiste la necessità di tutelare situazioni di fatto liberamente scelte ( e, come tali, innegabilmente foriere di vantaggi e di svantaggi) e che, attraverso i Dico, occorra urgentemente intervenire per disciplinarle in alcuni aspetti (a giudizio di chi scrive regolamentabili, ove effettivamente necessario, con strumenti meno solenni), in tal modo, peraltro, limitandole nella loro libera struttura; poi si è detto, per certi aspetti ineccepibilmente, che ciò che valeva per le coppie eterosessuali non poteva non valere anche per quello omosessuali. Un ragionamento legislativo apparentemente tortuoso, che, alla fine ha reso più difficile la libera valutazione del principio che (presumibilmente) si voleva effettivamente adottare (la disciplina delle convivenze omosessuali,che, a giudizio di chi scrive, non sarebbe stato improponibile, in forma diretta e più esplicita; ovviamente ferma restando la libertà di ciascuno di ritenerla utile o dannosa per il bene comune). In sostanza si è preferito dire: se qualcuno (per mille ed una rispettabile ragione) non vuole il matrimonio (disciplinato dalla legge solo in quanto fondamento dell?organizzazione sociale e presidio dell?educazione dei figli), allora creiamo un quasi matrimonio con diritti attenuati e doveri attenuati (che è come dire, per esempio: se qualcuno vuole lasciare i propri beni ad un amico e ? chissà perché ? non vuole fare testamento, inventiamo per legge un quasi testamento); e poi facciamo valere questa forma di quasi matrimonio anche per le coppie omosessuali. Per mantenere la voluta serenità del ragionamento, non si formulano, qui, ipotesi sulle motivazioni della tortuosa scelta legislativa adottata.

Passiamo ora al terzo punto, che, invece, per chi scrive e da cattolico, appare più rilevante: lo sviluppo della polemica da parte dei Vescovi: i Vescovi hanno detto chiaramente quello che pensano, hanno ispirato (non promosso) una manifestazione di sostegno ai valori della famiglia, hanno predicato ai cattolici impegnati in politica i valori in cui credono, invitandoli a conformare la loro azione a tali valori: tutto legittimo (anzi doveroso), tutto prezioso, tutto chiaro (forse resta non chiara la ragione di diversi atteggiamenti delle chiese locali in diversi Paesi dell?Occidente, ma, ai fini di quanto segue, non importa più di tanto). Adesso, però, basta! Ogni ulteriore tensione sul tema va assolutamente evitata perché dalla tensione deriverebbero conseguenze negative superiori ai benefici di una vittoria sul punto, vittoria che, non facciamoci illusioni, non potrebbe che essere temporanea: e ciò proprio per effetto della tensione creata sul tema, che inevitabilmente si tradurrà in pressione mediatica logorante e generatrice di ulteriori guai. Il cattolico, forte dell? insegnamento dei Vescovi, saprà dire sì, sì o no, no; alla luce della sua coscienza, se impegnato in politica, saprà liberamente orientare la sua azione, non potendo negare a sé stesso di avere avuto una chiara indicazione da quelli che, come cattolico, è tenuto a considerare i suoi (peraltro non infallibili) maestri. Il di più non potrà che portare dei guasti forse irreparabili. Non un passo indietro dei Vescovi, sia chiaro, è quello che sembra necessario ma, semplicemente, un ritorno al silenzio sul tema, già ampiamente dibattuto e largamente chiarito. La forza del messaggio che la Chiesa diffonde da secoli e da secoli difende non ha bisogno di vittorie a forza di maggioranze più o meno convinte: non sarà la prima volta che la Chiesa perde una ?conta? a cominciare da quel venerdì in cui tutta la folla gridò a Pilato ?Dacci libero Barabba!? mentre il Cristo, percosso ed umiliato, guardava, con tristezza, in silenzio.