CARO direttore,
riconoscere diritti e tutele a chi ha scelto di vivere la propria affettività e sessualità nella forma della coppia di fatto corrisponde a principi di civiltà, di giustizia, di rispetto delle persone. Anche perché la stragrande maggioranza di coloro che convivono, ha fatto e fa questa scelta del tutto liberamente e consapevolmente, con una intensità affettiva e voglia di amore non inferiore a chi sceglie di sposarsi.

Assistere in ospedale la persona con cui si convive da anni; poterla visitare in carcere; subentrare nella titolarità di un affitto quando la convivenza si interrompe o il convivente muore; usufruire di forme parziali di reversibilità previdenziale e di ereditarietà; tenere conto dell’esistenza di un vincolo di convivenza per la regolarizzazione di un convivente extracomunitario: sono tutele e prerogative che una società moderna e civile deve saper riconoscere e a questo obiettivo si è ispirata la scelta del governo di presentare in Parlamento il disegno di legge Dico.

Continuo a pensare che quel disegno di legge sia equilibrato e rispettoso dei caratteri precipui della famiglia fondata sul matrimonio così come definiti dall’articolo 29 della Costituzione.

Tuttavia gli esigui e incerti equilibri parlamentari rischiano di non consentire l’approvazione di quella legge. E, dunque, chi si batte per i diritti delle persone conviventi è di fronte ad una scelta: semplicemente riconfermare la soluzione Dico, scontando tuttavia che non venga approvata e rinviando sine die la soluzione del problema. Oppure ricercare con quali altri strumenti realizzare gli stessi diritti. A questa seconda possibilità mi sono ispirato nel dichiarare una disponibilità a esaminare anche strumenti diversi dai Dico, pur di realizzare una soluzione che riconosca i diritti delle persone conviventi.

Una disponibilità sia a esaminare altri progetti di legge depositati al Senato – tra cui quello del senatore Biondi che potrebbe facilitare una convergenza tra centrosinistra e almeno una parte del centrodestra – sia a verificare la praticabilità di riconoscere i diritti dei conviventi attraverso norme di diritto comune, cioè in articoli del codice civile, come viene proposto dalle associazioni cattoliche promotrici del Family Day.

Insomma, prima di tutto i diritti. La disponibilità, infatti, a discutere soluzioni diverse dai Dico muove da punti in ogni caso per me irrinunciabili: quale che sia lo strumento adottato, i diritti riconosciuti devono essere gli stessi previsti nel disegno di legge Dico; devono essere uguali sia per chi convive in coppie eterosessuali che omosessuali; e devono essere fondati su un atto che abbia valore legale per consentire a quei diritti di essere certi, esigibili e, in caso di contenzioso, opponibili a terzi.

Non mi nascondo naturalmente la difficoltà di una tale strada. E vorrei che anche i nostri interlocutori avessero consapevolezza di tale difficoltà non sottovalutando, ad esempio, che anche la modifica del codice civile implica un percorso complesso. Tuttavia se questa può essere la soluzione, perché non esperirla? Se non ci si vuole limitare semplicemente a proporre soluzioni che poi non vedono la luce e invece si vogliono davvero ottenere diritti certi e praticabili, la disponibilità al confronto e alla ricerca di soluzioni è ineludibile e necessaria.

E non vedo proprio per quale ragione battersi perché i diritti delle persone siano non solo affermati in via di principio, ma riconosciuti e resi concreti, rappresenterebbe una messa in discussione della laicità.

P. S. Quando alla metà degli anni ’70 il terrorismo cominciò ad attuare la sua strategia di morte, non esitai a dire – mentre altri sostenevano che erano “neri mascherati” – che invece il terrorismo rosso c’era davvero e che la sinistra doveva riconoscerlo e combatterlo senza reticenze ed esitazioni.

Quando all’inizio degli anni ’90 nei Balcani la follia della pulizia etnica portò alla negazione di ogni forma di dignità delle persone e a sofferenze inenarrabili – mentre altri si rifiutavano di accettare qualsiasi intervento – dissi che non si poteva rimanere inerti e si doveva ricorrere anche all’uso della forza perché la pace non basta invocarla, bisogna perseguirla.

Da almeno dieci anni vado dicendo che la sicurezza del cittadino non è un tema di destra, come troppi a sinistra continuano a credere, ma un’aspirazione del tutto normale di ogni persona che la sinistra ha il dovere di riconoscere e di garantire. Di fronte a quelle mie parole ogni volta c’è stato qualcuno a sinistra che ha gridato allo scandalo e al tradimento, salvo poi dover riconoscere in ritardo che quelle affermazioni erano fondate e giuste. Vorrei evitare che anche sui diritti delle coppie di fatto si ripetesse l’ennesimo rito dello scandalo indignato a cui, anni dopo, far seguire una ragionevolezza tardiva.