Quella che vi propongo è una pagina di diario. Scritta al ritorno da un ?viaggio? sulla via Salaria. Vi devo chiedere di fidarvi di uno sguardo discreto, forse ingenuo, di una ragazza che per la prima volta ha avuto modo e coraggio di guardare negli occhi altre ragazze, sue coetanee, prostitute. In questa pagina non troverete nomi, dati, né tanto meno numeri. Perché ciò potrebbe costituire un rischio per tutte quelle persone che, per motivi diversi, lavorano su questa strada.

Difficile parlare di scoperta, quando i corpi seminudi delle ragazze sono lì, visibili, ostentati a chiunque per caso, per diletto o per esplicita intenzione, percorra questa arteria che porta fuori Roma. In tutti i sensi. Con il gruppo di volontari con cui viaggio, ci fermiamo in quelle aree di sosta, con il rumore delle macchine che sfrecciano a ottanta all?ora, sin quasi a sfiorare i tacchi a spillo delle ragazze. Da qui, dalla strada, la prospettiva sul ?fenomeno prostituzione? è destinata a cambiare radicalmente. Il contatto diretto con le ragazze, con il loro corpo pronto a vendersi, con il volto, il nome, i frammenti delle storie di vita che talvolta trapelano nella conversazione, ti spingono a considerare i risvolti personali della vicenda umana che si nasconde dietro numeri, statistiche e piani di intervento.
Le ragazze stanno lavorando; per lo più ostentano allegria, persino buon umore e una certa dose di indifferenza (in qualche caso di diffidenza) nei confronti di chi si ripromette di aiutarle: ?in che cosa??, chiedono sempre. Al di là dell?approccio disteso, della bontà delle intenzioni che certo possono intravedere dietro l?operatore laico o religioso, penso che sul loro approccio mantenga un peso notevole il clima di diffidenza e di ostilità che hanno respirato in Italia sin dal loro arrivo. Due di loro fanno riferimento al centro di accoglienza temporaneo di Ponte Galeria, dove finivano puntualmente dopo ogni retata. Un?altra parla del centro di Crotone, l?approdo dopo il lungo viaggio dal proprio paese. Da qui forse l?odio feroce che coltivano nei confronti delle forze dell?ordine. Anche se le volanti costituiscono ormai una minaccia relativa soprattutto per le rumene, che sulla Salaria sono la grande maggioranza, forte permane il fastidio verso gli agenti, impegnati per lo più a rendere meno visibile la loro presenza. Mentre sanno che a nulla servono le telecamere posizionate per punire e scoraggiare eventuali infrazioni stradali commesse dai clienti: ?Non funzionano: non hanno mai funzionato? dice ironica D..

Una vita appartata, la loro, che si svolge quasi tutta all?interno delle relazioni con altre ragazze rumene del mestiere e probabilmente sotto lo stretto controllo dei protettori. Vivono a Termini, così dicono almeno. Rimangono in strada per otto, nove, dieci ore: dalle cinque le sei del pomeriggio fino alle tre, le quattro di notte. Cosa fanno in ciò che resta della loro giornata?

Difficile da dire. Potrebbero essere tranquillamente altre ?me stessa? confuse tra la gente, al supermercato, in autobus, a guardare una vetrina del centro; oppure alle prese con problemi che faccio fatica solo ad immaginare: feroci controversie con chi le ricatta, figli indesiderati, aborti.
Tutto il resto è la notte e la strada, dove trascorrono gran parte della loro vita in Italia. I rapporti che stabiliscono tra loro, facilitate dalla provenienza, la lingua e la comune età, costituiscono una rete di solidarietà e di mutua assistenza che permette di alleviare la noia, di affrontare la nottata con più leggerezza, ma probabilmente anche di attenuare la sensazione del rischio che stanno di fatto correndo.
Le ragazze che stavano in gruppo erano visibilmente più rilassate: tra di loro si abbracciavano, si scambiavano musica e suonerie dai cellulari, si prendevano in giro. Alcune stavano in coppia e tra di loro si poteva intuire un rapporto di forte intimità. Altre erano invece sole, condizione che pareva indurle a concentrarsi esclusivamente sul lavoro, visibilmente meno sicure di sé, più chiuse e diffidenti.

Nessuna di loro è propriamente ostile nei miei confronti, ma l?impressione è che non comprendano sino in fondo il senso della presenza dei volontari: la ricerca quasi forzosa di un rapporto con loro deve essere avvertita non solo come una forzatura, ma come un vero e proprio elemento di disturbo.

Osservata dal marciapiede, la prostituzione appare non solo come un mestiere, ma soprattutto come un ruolo, una parte: su questa sorta di palcoscenico, ognuna delle ragazze si dispone più o meno consapevolmente a recitare se stessa, accentuando fino all?eccesso quella parte di sensualità femminile che è poi lo strumento per adescare ?il cliente? (nessuna ha mai parlato di ?uomini? o ?ragazzi?). Per molte di loro il corpo deve rappresentare non soltanto il ‘mezzo’ del proprio lavoro, ma la maschera dietro cui nascondere la propria persona. La disponibilità del volontario a fornire un qualche tipo di aiuto alla persona, prescindendo dal ruolo che recita, finisce con l?esasperare la contraddizione con cui convivono. Non stupisce allora che le ragazze mentano: dietro ad un?effettiva esigenza di proteggersi restando nell?anonimato, c?è forse proprio la consapevolezza del rischio di interrompere la recitazione. Un momento di commozione, il ricordo della famiglia lontana, una preghiera, potrebbero riportarle bruscamente ad un pericoloso senso di realtà.

Non c?è niente nel loro passato, nella loro provenienza, nell?educazione che hanno ricevuto, che possa costituire una valida ragione o anche solo uno stimolo a prostituirsi. Esistono solo necessità ed esigenze impellenti, una ?voglia di futuro? sulla quale le organizzazioni criminali possono certamente giocare per spingere le ragazze in strada. La promessa di facili guadagni, la possibilità di emanciparsi da una condizione di secondo/terzo mondo, il miraggio di un ritorno a casa, sono d?altra parte elementi che possono spingere ad abbracciare questa scelta. Questa dialettica tra elemento volontaristico ed elemento coercitivo attraversa da sempre la riflessione sulla prostituzione, condizionando chiaramente il giudizio sulla donna prostituta, specialmente in un?ottica culturale cristiana: quanto più la ragazza è costretta, quanto più è vittima, tanto meno può essere condannabile.

?Come mai ridono sempre??, mi chiede Luca al mio ritorno.
La domanda nasconde chiaramente una provocazione: perché, se sono vittime, se sono sfruttate, se sono schiave, ridono?
E? una domanda non banale, che nel suo senso coglie appieno un comune sentire, un?ottica condivisa rispetto al fenomeno.
Ho risposto ingenuamente che quella che recitano è una parte. Che nessuno andrebbe con una prostituta triste. La risposta non ha convinto neanche me. Avrei dovuto aggiungere forse che mai nessuno è riuscito a rendere completamente schiavo il sorriso di una persona. Che quel sorriso rappresenta una possibilità di sopravvivenza. Che negli occhi delle ragazze c?è un futuro ridente. O forse semplicemente che quella sera erano allegre!