Bambini biondi, tanti bambini biondi. Un italiano che, turista, passeggia nelle vie di Copenaghen non può fare a meno di notarli. E non solo perché sono tutti così biondi da sembrare ognuno uguale all?altro, ma soprattutto perché sono tanti.
Gruppetti di due o tre bambini siedono comodi nei carrettini che si attaccano alla bicicletta, mentre i genitori pedalano lungo le piste ciclabili; scolaresche in impermeabile anche sotto la pioggia visitano i monumenti della propria città al seguito della maestra; e non è raro che anche nelle università resti parcheggiato fuori dall?aula qualche passeggino, mentre la mamma assiste alla lezione, con un orecchio attento all?interfono per ascoltare se il bambino dorme ancora.
Il turista italiano è di certo meravigliato, e probabilmente sta cercando di capire per quale motivo tutto ciò non succeda anche nel suo paese. In fondo, gli piacerebbe molto camminare per le strade della sua città incontrando così tanti bambini. In un certo senso, il turista pensa anche che questo lo farebbe sentire più tranquillo: in un paese ?giovane? il futuro sembra essere migliore, meno traballante.
Ed ha ragione. Un paese che invecchia diventa ?traballante?: perdono l?equilibrio il sistema pensionistico e produttivo, barcollano le famiglie, faticano i giovani.
Il turista italiano non capisce: ?se un paese giovane è meglio, perché il mio continua ad invecchiare??
Sarà una questione culturale? Forse i danesi amano di più la famiglia numerosa?
Non credo, è piuttosto una questione di investimento. Lo stato danese ha deciso di investire parecchio nel sostegno della famiglia e delle nascite. L?Italia ha evidentemente preferito destinare le sue risorse ad altri scopi. Gli studi dell?OCSE sulla spesa pubblica in favore della famiglia parlano chiaro: la Danimarca spende quasi il 4% del PIL in contributi e servizi per le famiglie; in Italia la percentuale supera di poco l?1% (OECD Family Database www.oecd.org/els/social/family/database).
Con più risorse a disposizione, lo stato danese può attuare politiche efficaci nel sostenere il tasso di fertilità. Tra queste misure la più significativa è il Family Allowance, un contributo annuale attribuito ad ogni bambino da 0 a 17 anni, indipendente dal reddito dei genitori (nel 2005 era pari a circa 1.800 euro per i bambini 0-2 anni, 1.600 per i bambini 3-6 anni, 1.300 per i bambini 7-17 anni).
In Italia invece, attraverso gli assegni per il nucleo familiare, si riesce a malapena a tutelare le situazioni più difficili e di povertà o disabilità (situazioni che in Danimarca sono curate separatamente) senza che vi sia alcuna misura volta direttamente ad incentivare le nascite, ad eccezione di qualche una tantum come il bonus bebé.
Ma non ci sono solo gli aiuti finanziari: la scelta di allargare la propria famiglia, soprattutto quando entrambi i genitori sono lavoratori, è condizionata anche dalla disponibilità di servizi e strutture dedicati alla prima infanzia, come gli asili nido. Il nostro turista si ricorda bene quanto ha dovuto faticare per riuscire a trovare un posticino in un asilo comunale per suo figlio, iscritto in una interminabile lista di attesa. Di certo invidia le famiglie danesi che hanno a disposizione una vasta ed efficiente rete di asili nido pubblici, dei quali usufruisce quasi il 62% dei bambini al di sotto dei tre anni (stime OCSE).
Come la Danimarca, molti altri paesi hanno deciso di investire nella famiglia: la Francia, l?Austria, i paesi scandinavi, la Germania e altri ancora.
L?Italia resta indietro, e mentre i politici litigano sulle pensioni, il nostro turista, tornato a casa, ha già deciso, a malincuore, che il suo bambino rimarrà figlio unico.
E nessun serio impegno per renderci più giovani