Succede tutto più o meno contemporaneamente. Tre milioni e trecentomila elettori votano alle Primarie del Partito Democratico. Centinaia di migliaia di firme sottoscrivono le iniziative di Beppe Grillo per la “moralizzazione della politica”. Quattro milioni e mezzo di lavoratori e pensionati si esprimono positivamente nel referendum sindacale sull’accordo del Welfare. Libri e trasmissioni di inchiesta contro la cattiva gestione del potere da parte della politica incassano profitti e ascolti da record.
Fenomeni apparentemente inconciliabili, che hanno fatto parlare di un clima diffuso di antipolitica e subito dopo di un ritorno dei cittadini alla politica. Di sfiducia, allontanamento e freddezza verso la classe dirigente, i partiti e le stesse istituzioni democratiche e poi di ritorno alla partecipazione, di voglia di coinvolgimento e di vitalità democratica.
Siamo davvero il Paese degli ossimori, oppure è stato commesso un qualche errore nell’interpretazione dei fermenti che stanno attraversando la società italiana?

Una corretta interpretazione richiede anzitutto di verificare le categorie conoscitive che si adottano o si sono adottate per l’analisi. Di misurare cioè gli strumenti di cui ci stiamo servendo, sulla realtà dei fenomeni che cerchiamo di spiegare. Nel nostro caso sono state essenzialmente due le categorie di analisi adottate: quella di “politica”, riferita in generale a quelle iniziative promosse da istituzioni, rappresentanze e organizzazioni politico-istituzionali (così le Primarie del Partito Democratico e il referendum sul welfare). E quella, ancor più sfumata, di “antipolitica”, intendendo con questo termine una vasta serie di mobilitazioni più o meno spontanee, volte a denunciare e contestare il potere politico; fino al desiderio individuale di essere informati sulle carenze del sistema e su eventuali abusi commessi dalla classe dirigente. Data la compresenza di questi fenomeni, la coppia dialettica politica-antipolitica ha finito per restituirci un quadro d’insieme altrettanto contraddittorio. Oltre ad un legame di stretta subordinazione semantica, l’antipolitico, che senza il suo opposto non troverebbe neppure definizione, intrattiene con il politico un legame, diciamo così, di natura sociologica. Dietro alle sue manifestazioni esteriori – la critica, la contestazione, il rifiuto ? è possibile ritenere che l?antipolitica nasconda una domanda di politica di fondo, che chiede di essere ascoltata e possibilmente esaudita nei suoi contenuti. Piuttosto che distacco, essa segnala così una rinnovata affezione alla democrazia e agli strumenti attraverso cui questa può essere esercitata dal basso. Rivendica un potere di correzione, controllo e pressione che costituisce non una minaccia, bensì una garanzia di democraticità.
Rischioso può essere soltanto, per questa come per ogni classe dirigente, non tener conto di questa rinnovata coscienza politica.