Per quanto riguarda il rapporto tra giovani e politica credo che il problema non sia (solo) la partecipazione alle primarie (riferimento all?ultima Newsletter n.d.r.), ma più in generale il rapporto tra i giovani e i partiti. L?ultimo rapporto sulla condizione giovanile pubblicato nel 2006 dall?istituto Iard presenta un quadro abbastanza desolante rispetto a questo tema. La ricerca, che ogni quattro anni analizza i comportamenti del mondo giovanile italiano, registra un declino della fiducia nei confronti di molte istituzioni: gli insegnanti, la polizia, i militari di carriera, le banche e gli uomini politici.

Partecipazione e sfiducia sono, dunque, strettamente legate. La partecipazione concreta ci mette di fronte ad uno scenario con luce e ombre: solo il 23% dichiara di non partecipare ?mai?. Un trentenne su due dichiara di aver assistito ad un dibattito politico, un 15-17enne su tre ha partecipato ad un corteo, quasi 1 maggiorenne su 4 ha firmato per un referendum e 1 su 10 ha aderito ad un boicottaggio.
Anche la fiducia dei giovani nei confronti degli uomini politici si attesta su livelli molto bassi, nonostante una crescita dall?8% al 12% negli anni dal 2000 al 2004. Cresce, dopo un?inversione di tendenza registrata nel 1996, l?atteggiamento di delega (il 35% pensa che si debba ?lasciare la politica a chi ha la competenza per occuparsene?, contro il 26% del 1996) e si riduce, seppur lievemente, quello di disgusto (dal 26% al 23%). Dagli anni ?80 però l’atteggiamento di disgusto cresce in maniera esponenziale dal 12% al 23%. L?impegno politico vero e proprio coinvolge una piccola fetta di giovani (appena il 4%).

Particolarmente interessante è la risposta alla domanda ?Quale obiettivo prioritario dovrebbe avere la politica??. In questo caso si possono osservare forti cambiamenti rispetto ai rapporti precedenti: si assiste, infatti, ad un calo costante dell?importanza attribuita a ?mantenere l?ordine della nazione? (dal 36 % del ?92 al 26% del 2004) e a ?dare
maggior potere alla gente nelle decisioni politiche? (dal 32% al 14%), mentre è in crescita
l?idea che la politica debba ?proteggere la libertà di parola? (dal 25% al 35%).
Certamente questo quadro deve interrogare anche il PD. Cosa fare? Credo che il futuro dipenda dal ruolo che i giovani sapranno ritagliarsi all?interno del nuovo partito. Francamente non credo che la nascita di un movimento giovanile del partito possa essere la soluzione. Troppo spesso in questi luoghi si è tentato di ghettizzare i giovani come categoria e troppe volte gli stessi rappresentanti dei movimenti hanno riproposto quelle dinamiche di contrapposizione, di cura esclusiva degli interessi personali e di scarso rispetto per le regole che la maggior parte dei giovani condannano ai ?politici adulti?. Dove sono i giovani? I giovani ci sono. E? evidente. Si vedono in lunghe file in attesa di entrare a un concerto o allo stadio per la partita. Li si vede in folle immense riempire le piazze e manifestare per la pace. I giovani ci sono in queste grandi immagini di masse prive di spigoli, di particolari. Ci sono appunto nella parola giovani, sempre al plurale e mai al singolare. Sempre in gruppo e mai presi individualmente. Ci sono quando c?è bisogno di grandi numeri, di spazi da riempire. Ci si stupisce, però, quando ci si chiede: ma che voce hanno i giovani? Quanti sono i giovani che hanno la possibilità di dire qualcosa, qualcosa che sia preso in considerazione, qualcosa che possa avere anche l?assurda pretesa di contare quando si devono prendere delle decisioni? I giovani ci sono, è evidente. Ma non hanno voce. Eppure, credo abbiano una gran voglia di dire, di partecipare, ma prima ancora, di capire.
Se il PD riuscirà a parlare un linguaggio chiaro e a dimostrare che è possibile coinvolgere coloro che vogliono partecipare attivamente alle decisioni che si prendono ed avere la possibilità di essere ascoltati i giovani, sono sicuro, non mancheranno.

È necessario che il PD riesca a fare in modo che le politiche dei padri siano concordate con i figli. Perché il mondo e la società che andiamo a costruire non sarà solo dei padri, anzi, vedrà come protagonisti i figli.

Ciò non vuol dire alzare un muro rispetto al dialogo intergenerazionale, ma ? al contrario – costruire ponti, terre di mezzo, in cui persone, età, storie diverse possano trovare un terreno neutro in cui parlarsi ed ascoltarsi.