Il recente articolo dell?Economist ?Disharmony and tension? centrato su come la politica italiana ha affrontato nelle ultime settimane la questione degli immigrati rumeni, è interessante da più di un punto di vista. Conferma, tra l?altro, ancora una volta, la convinzione che fuori dai confini italiani si guardi alle nostre vicende talvolta con occhio ipercritico e senza nessuno sconto.
D?altra parte, sono le stesse polemiche politiche, sempre molto aspre, e l?accanimento mediatico sugli aspetti più morbosi della sicurezza e della violenza quotidiana a suggerire, dentro e fuori, una certa immagine del paese che non risparmia alcun aspetto della società italiana (ivi compresi gli immigrati) e che contribuisce ad alimentare, anche quando non necessario, una rappresentazione dell?Italia fortemente problematica.
Senza con questo voler nascondere o minimizzare le reali difficoltà che attraversiamo come sistema paese, è indubbio però che un?informazione ricorrente su e di buone notizie, contribuirebbe con efficacia e leggerezza ad alimentare segnali positivi e rincuoranti per tutti.
La non cattiva notizia della quale voglio parlare emerge dai risultati di una indagine, condotta da un gruppo di ricerca guidato da una docente di psicologia del lavoro della LUMSA* su un gruppo di rumeni che lavorano nel nostro paese, che ha preso in esame un aspetto della condizione degli immigrati ancora poco studiato e trattato.
La ricerca, di tipo esplorativo, si è proposta, infatti, di verificare se gli immigrati percepiscano il lavoro, più di altre modalità, come la forma prioritaria della loro integrazione.
L?indagine ha preso in esame un gruppo di 20 immigrati, scegliendoli tra soggetti di nazionalità rumena perché, più di altri, sono in grado di acquisire rapidamente una buona padronanza della lingua italiana ed anche per una situazione lavorativa che si presta in misura minore a condizionamenti legati a discriminazioni legate al colore della pelle o alla professione religiosa.
Il gruppo oggetto dell?indagine, composto da 13 donne e 7 uomini di età compresa tra 22 e 54 anni, 19 dei quali con un titolo di studio equivalente alla maturità e 1 alla laurea, soggiorna in Italia da un lasso di tempo compreso tra 1 e 17 anni. Le donne svolgono in prevalenza il lavoro di colf e gli uomini quello di operaio edile, in ciò rispecchiando in pieno i settori di occupazione più frequenti tra i cittadini rumeni immigrati in Italia (Caritas, 2006).
Agli immigrati, intervistati individualmente in lingua italiana, è stato chiesto di esprimere, oltre alle ragioni che li hanno spinti a lasciare il paese di origine, alle aspettative e alla prefigurazione del loro futuro, una valutazione sia del loro inserimento sociale in Italia e la priorità ad esso assegnata, sia della condizione lavorativa svolta (entità della retribuzione percepita, condizioni di lavoro, possibilità di carriera, rapporti con i datori di lavoro e i colleghi).
I risultati indicati da questa prima indagine esplorativa, pur necessari di ulteriori conferme e, soprattutto, di successive analisi su campioni più ampi e rappresentativi e su gruppi di soggetti di provenienze geografiche differenti, nondimeno forniscono indicazioni interessanti e degne di attenzione.
Dalle interviste emerge, per esempio, che il progetto migratorio non è definito fin dalla partenza con chiarezza, ma si evolve con il tempo: il raggiungimento di una stabilità lavorativa, il possesso di un permesso di soggiorno e una situazione abitativa contribuiscono ad un?evoluzione verso una maggiore sicurezza e chiarezza di intenti.
Nessun dei venti intervistati ritiene insoddisfacente il proprio inserimento in Italia e attribuisce alla stabilità lavorativa – più che al lavoro in sé – e alla socializzazione due degli aspetti indicati come più importanti per l?integrazione.
L?85% degli intervistati assegna alla propria integrazione una rilevanza significativa all?interno del progetto migratorio e 19 soggetti ritengono importante il lavoro per una soddisfacente integrazione.
Significative, a questo proposito le parole di una intervistata: ?Credo che il lavoro sia molto importante, senza di quello penso sia difficile integrarsi in un Paese straniero; le persone ti guardano meglio quando gli dici che hai un lavoro e poi senza di quello non si può vivere in modo dignitoso e onesto?.

*La ricerca è stata presentata e pubblicata negli atti del congresso svoltosi dal 9 al 12 settembre 2007 a Ljubljana (XXXII Annual Conference dello IAREP ? International Association for Research in Economic Psychology): P. Benevene, R. Rondini, O. Forti, C. Iacolino (2007), ?The work as an integrationa agent: an enquiry made with a group of Rumanian immigrants in Italy?, in M. Polič, B. Bajec and L. Komidar (ed.), Values and Econom., Proceedings of the 32nd IAREP Conference. Ljiubljana 2007, Ljubljana, Filozofska Faculteta, pp 205-214. ISBN 978-961-237-206-4.