La lettera a firma di Don Lorenzo Milani, affiorata nel dibattito degli Amici per la città, ha destato innumerevoli testimonianze, seppur discordi, sul tema della partecipazione. Ne emerge violenta la disillusione rispetto al cambiamento, un diffuso malcontento che sfocia in sdegno e disinteresse.
In un momento di apertura e rielaborazione dell?intero sistema politico che si impegna nel superamento dei comparti ideologici (in primis nel pd), stridono alcune considerazioni che addensano il dibattito di pregiudizi e facilonerie.
La politica è fondamentalmente un consenso su idee e progettualità, troppo spesso maturato in logiche di appartenenza. Gli anni Novanta segnano una crisi dei partiti identitari, contenitori di elaborazioni, valori e visioni, fortemente conflittuali gli uni con gli altri. Basti pensare al PCI ed alla DC che tracciavano mondi alternativi. Superata (fortunatamente) questa logica l?elettorato diviene instabile, più attento alle proposte e ai programmi. Permane tuttavia una sensazione plumbea, comune, di disillusione che individua nella politica il problema e non la possibilità di risolverli.
Tale incomunicabilità riversa nella critica la necessità di fuga, estremo tentativo di differenziarsi nell?impossibilità o nell?incapacità di proporre sintesi perseguibili: idea (sollevata ad esempio nella e.mail di Carlo Biason) che sia possibile trincerarsi nella propria quotidianità personale, quale vissuto parallelo e non convergente con quello altrui.
Scrive Carlo: ?Gesù diceva ai suoi apostoli di essere il sale della terra, ma se diventiamo tutti suoi apostoli tutta la terra diventa sale. Così non puoi certo aspettarti che tutti partecipino attivamente, altrimenti non fai democrazia ma confusione. [?] Ricordo che quando ero piccolo, mio padre usciva quasi ogni sera per andare alle riunioni delle Acli, lasciando me e mia mamma soli a casa. Io non capivo quella scelta e non voglio che i miei figli vivano la medesima amarezza che ho provato io, in tante sere senza padre. Non condivido la necessità di essere parte attiva a tutti i costi?.
Su questa logica è facile innestare il principio per cui ?non è utile votare? e che la propria preferenza è sostanzialmente merce di scambio per giochi di potere e incroci di poltrone.
Chi come me si spende nella politica, legge in queste parole ?la razionalizzazione del disimpegno? (come la chiama Amedeo) che scarica tutta la responsabilità del fallimento sugli altri.
Giorgio Gaber strimpellava qualche anno fa alla libertà quale forma di partecipazione. Emmanuel Mounier credeva alla democrazia come ricerca articolata e spontanea delle masse. La partecipazione politica è un fenomeno collettivo nella sua complessità ma estremamente personale (quasi intimo) nella declinazione a passione, a impegno civile.
Non è chiaro cosa voglia dire esattamente partecipare, se esprimere un voto, una preferenza, militare o aderire ad un partito o semplicemente manifestare per o contro qualcosa. È forse corretto identificare la partecipazione nella somma di quanto sopra e, più in generale, lasciare ai singoli la libertà di ideare e perseguire un processo di adesione sulla base di scelte individuali.
Fondamentalmente esistono due vie per la politica: le strutture e la mobilitazione. Le prime sono fortemente vincolate ai partiti (o alle associazioni) ed alle loro regole, mentre le mobilitazioni traggono linfa vitale da pulsioni più immediate e meno organizzate in uno scenario
amministrativo globale.
Secondo Pasquino (politologo di vaglia) ?la partecipazione politica è l?insieme di azioni e comportamenti che mirano a influenzare […] la selezione dei detentori del potere […]?.
Va sottolineato che elementi quali l?interesse per la politica, la discussione o l?informazione pur non essendo comportamenti propriamente partecipativi, ne costituiscono l’ossatura e sono quindi fortemente qualificanti.
Norberto Bobbio scriveva, su Il futuro della democrazia, che “è possibile rendersi conto delle contraddizioni in cui versa una società democratica senza smarrirvisi, riconoscere i suoi vizi congeniti senza scoraggiarsi e senza perdere ogni illusione nella possibilità di migliorarla”.
Non è utile votare?