Sono in Italia da cinque anni, sono una rifugiata congolese e da tre anni collaboro con la Fondazione Centro Astalli al progetto Finestre ? Nei panni dei Rifugiati? per le scuole superiori.
È un? attività che mi dà molte soddisfazioni: parlare ai ragazzi, raccontare ciò che accade nel mio paese è un modo per rielaborare la mia vicenda personale ed è anche un modo di aiutare i miei connazionali che sono rimasti lì.

Quando gli operatori del Centro Astalli mi hanno chiesto di collaborare al progetto Finestre ero un po? spaventata, pensavo di non essere all?altezza delle loro aspettative: il mio italiano non è perfetto e mi fa ancora molto male raccontare quello che ho passato, avevo paura di bloccarmi, di non essere in grado di parlare a degli sconosciuti ed ero terrorizzata all?idea di dover rispondere a delle domande difficili.
Al Centro Astalli sono stati bravi a rassicurarmi, ci siamo visti varie volte, mi hanno accompagnato in classe a sentire altri rifugiati, mi hanno fatto leggere il materiale didattico del progetto? fino a quando un giorno decido, chiamo al Centro Astalli per dire: «sono pronta, voglio provare!».

La mattina dell?incontro in classe ci vediamo con l?operatrice mezz?ora prima per fare colazione insieme; vuole spiegarmi gli ultimi dettagli sull?età dei ragazzi e sul tipo di scuola.
Quella mattina ero molto tersa, mi ripetevo in continuazione: «non ce la farò mai, non sono in grado, non mi ricordo neanche una parola d?italiano».
Ero terrorizzata: e se mi fossi sbagliata? E se non avessi retto lo stress di parlare davanti a trenta ragazzi mai visti prima?
Entriamo in classe; inizia l?operatrice: parla dei rifugiati, delle leggi, dei diritti umani, delle guerre dimenticate; poi dopo un?ora circa tocca a me.
Mi alzo dalla sedia, mi metto davanti ai banchi dei ragazzi che mi guardano ammutoliti.
«Sono Rose, ho ventisette anni e sono una vittima di tortura; sono una vittima della guerra nel mio paese che si chiama Repubblica Democratica del Congo, ma vi assicuro che di democratico ha ben poco».

Comincio a parlare e non mi riesco a fermare, le parole escono da sole, una sensazione mai provata prima: i ragazzi mi osservano, di certo non hanno mai ascoltato una storia come la mia.
Con voce ferma e tranquilla racconto dell?arresto, avvenuto pochi giorni dopo una manifestazione studentesca all?università, cui avevo preso parte. I militari in borghese sono arrivati a casa mia. Mi hanno fatta uscire con una scusa; portavo le pantofole e un abito da casa. Due uomini mi hanno presa per le spalle, un altro mi ha messo un fazzoletto in bocca e me lo ha spinto giù fino alla gola; mi hanno bendata e spinta dentro una macchina, sul sedile di dietro a pancia in giù, e si sono seduti sopra di me, per tenermi immobilizzata.
«Avevo tantissima paura, erano in sette, tutti uomini, tutti enormi. È stato molto difficile?». Mi sembra di essere in trance, imperturbabile, quasi di ghiaccio. Parlo lentamente, lo sguardo fisso su un punto lontano.
«Quante volte ho pregato il Signore di farmi morire! Ogni volta che un militare entrava nella mia cella con l?intenzione di abusare di me, e io rifiutavo e lui cominciava a bastonarmi sulla schiena, a prendermi a calci, a sputarmi in faccia. Pregavo ogni giorno, volevo diventare una martire del mio paese, non volevo più vivere».

Solo quando ho finito mi rendo conto di aver parlato per quaranta minuti ininterrottamente, i ragazzi, la solita ?classe impossibile? a detta della loro insegnante, sono immobili, ammutoliti. Qualche ragazza si commuove, io stessa alla fine trattengo le mie lacrime a stento.

Usciamo dalla scuola, dobbiamo prendere l?autobus: l?operatrice non riusciva a parlare, anche per lei era la prima volta che ascoltava la mia storia così nei dettagli.
Scoppio a ridere vedendo la sua faccia tesa e preoccupata: era una risata liberatoria, come se mi fossi tolta un macigno dalle spalle. Provavo una sensazione nuova come se per la prima volta potessi condividere il mio dolore con qualcun altro.

Da quella volta è iniziata un?intensa collaborazione con il Centro Astalli, sono stata chiamata varie volte per incontrare le classi e ho sempre accettato con piacere.
Ora capisco che per me è molto utile raccontare la mia storia ad altre persone, mi aiuta a non dimenticare certi particolari, certi episodi, certi volti. E poi mi piace pensare che grazie a me i giovani italiani capiranno il valore dell?accoglienza. il dolore di chi scappa dal proprio paese e arriva in Italia in cerca di protezione.

LA FONDAZIONE CENTRO ASTALLI

Creata nel 2000, la Fondazione si propone un impegno di tipo culturale che si radica nell’esperienza maturata nei venticinque anni di vita dell’Associazione Centro Astalli.
La riflessione su cui la Fondazione fonda il suo lavoro è che non basta dedicarsi ad attività di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati se poi non si investono tempo ed energie per la loro integrazione nella società.
In questa ottica la Fondazione opera per sensibilizzare gli italiani ai temi dell?intercultura, del dialogo interreligioso e del diritto d?asilo, occupandosi in particolare di:

? Formazione dei giovani. Attraverso i progetti per le scuole superioriFinestre ? Nei panni dei rifugiati e Incontri, migliaia di studenti ogni anno conoscono chi sono i rifugiatie perché chiedono asilo in Italia. Vengono inoltre in contatto con esperienze concrete di dialogo interreligioso, attraverso l?incontro con testimoni, le visite ai luoghi di culto e l?uso di materiali didattici ad hoc.

? Attività di tipo culturale e campagne di informazione. La Fondazione propone periodicamente occasioni di approfondimento e aggiornamento sulle problematiche dell’immigrazione e della protezione dei rifugiati. Destinatari privilegiati di tali azioni sono gli operatori del terzo settore, le istituzioni pubbliche interessate e il mondo del volontariato. Inoltre, attraverso una costante produzione editoriale, si cerca di diffondere quanto più possibile la cultura dell?accoglienza e del dialogo.

Info: Fondazione Centro Astalli ? 0669925099 ? astalli@jrs.net – www.centroastalli.it