L?amico Carlo Biason ha mandato una lunga lettera in risposta all?articolo dal titolo ?Dialogo sulla partecipazione? pubblicato lo scorso 8 febbraio su La Bussola..

Buongiorno,
vorrei rispondere all’articolo “Dialogo sulla partecipazione” dell’8 febbraio.
Sono lo stesso Carlo di cui si riportano i virgolettati citati e mi piacerebbe poter ribadire il mio punto di vista, temo non sufficientemente chiaro nel mio primo intervento.
Non so se la parte introduttiva dell’articolo sia riferita al mio pensiero, se così non fosse buona parte della presente non ha da considerarsi, ma da quello che interpreto non credo di sbagliarmi: sono infatti l’unico sconosciuto citato, a fianco di Mounier, Gaber ed altri illustri.
Il primo pensiero dopo un’attenta lettura dell’articolo è stato di sdegno e rammarico. Sdegno perchè è stato completamente travisato il mio pensiero, sicuramente anche a causa della mia non chiara esposizione, ma soprattutto perchè mi sono stati messi in bocca pensieri e considerazioni che sono ben lontani dal mio modo di pensare e di agire. Rammarico perchè noto che, nonostante si esprima sempre di più questa reiterata propensione al cambiamento, nel momento del confronto quanto meno dialettico, se ci si trova di fronte a chi la pensa diversamente, la prima mossa allo scopo difensivo è l’attacco: quindi screditare l’altro, travisare più o meno volutamente il suo pensiero, banalizzare i suoi contenuti e demolire goffamente l’altrui punto di vista, senza proporre nulla in cambio (le citazioni di personaggi non mi sembrano merce valida in questo senso) o spiegando la bontà del proprio punto di vista (in modo che i lettori telematici possano trarre le loro conclusioni); e poi si vedrà. Esattamente come si è svolto il confronto politico da 30 anni a questa parte, se non di più. Cambiamento, dunque?
A questo punto mi sento nell’obbligo morale di chiedere alla redazione tutta della Bussola la cortesia di permettere un contraddittorio serio, seppur a distanza, usando i mezzi di informazione e comunicazione, pubblicando per intero la mia prima mail, l’articolo in risposta, e la presente. E poi tutti gli interventi successivi, se del caso, di chi vorrà partecipare.
Ora, per amore dell’amicizia che mi lega ad Amedeo, al mio recente passato di collaboratore per la Bussola e non ultimo per il semplice gusto e desiderio del confronto, mi permetto di ribadire, possibilmente punto per punto, a questo articolo.
Andiamo a cominciare.

Si afferma che il mio pensiero produce una “violenta disillusione rispetto al cambiamento”. A parte che non capisco la necessità di usare l’aggettivo “violenta”, in effetti disillusione ce n’è in abbondanza. Perchè a tutt’oggi in Italia non vedo processi di cambiamento politici in atto. Di sicuro non nel Pd, che al momento ha cambiato solo a parole. Ma sono un po’ stanco delle parole, da cittadino gradirei anche delle azioni concrete.
So già qual è la risposta: rimboccati le maniche, partecipa, attivati per un cambiamento. A parte che dopo un articolo come questo, voglia di cambiare assieme al Pd, se poca ne avevo prima, adesso ne ancora di meno. Ma mi riservo di discutere meglio questo punto, sembra vero nocciolo della questione, piy avanti.
Mi si taccia di esternare “sdegno e disinteresse”. Dopo i recentissimi episodi di spregio verso le istituzioni e gli elettori di alcuni nostri senatori, e quelle passate di tangenti e ben altro, non essere sdegnati con la classe politica italiana è quasi impossibile, e qui so di essere in buona compagnia. Certo che sono sdegnato, credo di averne tutto il diritto. Di sicuro non sono disinteressato, altrimenti non starei scrivendo tutte queste cose; innegabilmente non sono ottimista. Si dice che il mio pensiero stride con il “processo di superamento dei comparti ideologici nel Pd”. Boh, non mi risulta di essere nella costituente del Pd, ni di avere la tessera del Pd, ni di essere in alcun modo stato interpellato in questo processo. Non vedo quindi perchè accusarmi di essere contro queste logiche, dal momento che non le ho minimamente promosse, ed essendo fuori dal Pd posso permettermi di esprimere un mio pensiero senza per questo essere accusato di disfattismo.
“Pregiudizi e facilonerie”, quindi, la ovvia conclusione. Sarei curioso a questo punto di sapere quali sono i pregiudizi da me espressi e le facilonerie di cui mi sono macchiato, giusto per avere la possibilità del contraddittorio. Ho i miei dubbi, se avessi detto pregiudizi e facilonerie, che la mail sarebbe stata giudicata da Amedeo così interessante da essere girata alla redazione. Attendo quindi di sapere le gravi colpe di cui sono reo.
Il primo pensiero originale espresso nell’articolo sottolinea che la politica è un consenso su idee e progettualità. Vero, ma per me questa è solo la prima parte dei compiti della politica, ad essa spetta anche la concretizzazione, la realizzazione in atto della potenza dialettica che sta alla base.
Non ho mai detto che sia la politica il problema, ma di sicuro la politica attuata dal governo italiano negli ultimi decenni non aiuta il cittadino a superare gli innegabili problemi che una gestione della cosa pubblica comporta. Ma non spetta al cittadino risolvere questi problemi, a lui spettano il dialogo e la scelta dei rappresentanti. I problemi vanno risolti da chi della politica ha deciso di farne un mestiere, e si spera una professione.
L’impossibilità del dialogo genera quindi una “critica come fuga e incapacità di proporre sintesi perseguibili al fine di differenziarsi”. Non ho mai parlato di fuga, ma solo di tentazione nel votare scheda nulla. Inoltre non credo che spetti a me proporre sintesi perseguibili. La mia professione non è fare il politico, e non ho nemmeno intenzione di farlo per hobby. Chiedo venia nel caso questo assunto sia percepito come un affronto, ma mi ritengo sufficientemente libero da poterlo esprimere pubblicamente. Un po’ troppo comodo riversare sugli altri le proprie incapacità di proporre sintesi perseguibili, quando da soli non si riesce a raggiungere un qualche risultato apprezzabile. Suona nuova, questa frase? Gli autori dell’articolo, politici dichiarati, hanno forse espresso sintesi perseguibili in contrapposizione alla mia supposta voglia di fuga o incapacità? Qual è dunque la soluzione che mi viene imposta? “Trincerarsi nella propria quotidianità, quale vissuto parallelo e non convergente con quello altrui”. E qui si parte proprio per la tangente. Non ho mai usato queste parole e gradirei che non mi fossero messe in bocca visto che non sono farina del mio sacco. È evidente che i redattori dell’articolo non mi conosco e dall’alto della loro presunzione nemmeno si degnano di informarsi su chi io sia, ma risulta più facile dare dell’asociale e dell’irresponsabile senza etica civile, piuttosto che invitare al dialogo costruttivo. Non mi trincero nella mia quotidianità, la mia partecipazione alla Bussola dovrebbe essere un esempio, per non parlare del mio passato. Il mio non è un vissuto parallelo, come quello di coloro che non vogliono concepire realtà, atteggiamenti e comportamenti che non siano irreggimentati e accettati dal partito (vedi proporre sintesi perseguibili). Rivendico invece la mia presenza e partecipazione al tessuto sociale in modalità agli autori forse sconosciute, sicuramente per loro deprecabili. Se a loro signori non sono possibilità note, scusate ma non è colpa mia. Credo che non ci siano molti dubbi sul fatto che già questa discussione possa essere definita “partecipazione politica” (alla faccia quindi della mia asocialità), e che l’uso e la conoscenza consapevole dei mezzi di informazione e comunicazione siano una delle nuove strade da non sottovalutare per fare politica, questa volta sì, in modo innovativo. Ad ogni modo non vedo perchè io debba essere trattato in questo modo semplicemente per il mio punto di vista di non volere a tutti costi fare attivismo politico di un certo tipo. Mi piace pensare che la scelta di fare politica attiva e quella di fare una politica piy marginale, anche solo di discussione e di espressione di una preferenza qualsiasi (e sottolineo qualsiasi) al momento del voto, siano due posizioni entrambe valide e da accettare. Che poi non si sia d’accordo, è un altro discorso, e se ne discute. Ma partire a priori accusando l’altro, più o meno velatamente, dell’erroneità della sua posizione, questo no, non lo accetto. L’unica conclusione possibile, quindi, è la definizione del “principio per cui non è utile votare”. Altra falsità. Non l’ho mai detto. Anzi, proprio la contemplazione della possibilità di votare scheda nulla rivendica l’utilità, per quanto minima, del voto. è vero che il voto nullo non costruisce nulla, ma dal voto nullo al non voto, scusate ma ce ne passa. O non è forse che questa reiterata accusa contro un voto non espresso, ma che ciò non di meno porta a compimento il diritto del voto, non faccia paura ai nuovi schieramenti politici che si vanno delineando, visto che le percentuali di vittoria o d’insuccesso sono sempre più risibili, e anche un pugno di un migliaio di voti pur fare la differenza? Ai posteri l’atroce sentenza. Chiedo agli autori di citarmi un solo caso in cui non ci sia stata mercificazione del voto degli elettori per gli squallidi giochini di cambio/mantenimento delle poltrone parlamentari. Poichè la realtà è sotto il naso di tutti, direi che voler tutelare la mia preferenza di voto sia qualcosa di legittimo, doveroso e responsabile. L’eventualità di un voto tramite scheda nulla ritengo sia veramente una scelta consapevole, nata dalla constatazione che al momento nessuno dei candidati (vedremo nel dettaglio quali saranno) si merita il mio voto, che non ho intenzione di mercificare, di svilire, di sminuire di dare via al meno peggio, come gi` successo in passato. La scelta di voto nullo è invece secondo me un ulteriore riconoscimento dell’importanza che io attribuisco al diritto di voto. Certo, se lo facessi ad oltranza non avrebbe senso, è vero che proprio in questo momento contingente della vita politica italiana si chiede piy che in altri casi di votare specificamente per cambiare… ma questo cozza con il principio espresso sopra. Non mi voglio più accontentare della scarsissima scelta quali-quantitativa delle forze politiche. E non parliamo della legge elettorale attuale, ancora più castrante sotto questo punto di vista. Di questo conflitto io sto solo cercando una soluzione, seppur temporanea, che mi permetta di fare onestamente il mio mestiere di cittadino: votare.
Si chiosa il tutto assicurando che il mio unico scopo è “scaricare la responsabilità del fallimento sugli altri”. Altra espressione coniata dalla genialità degli scrittori, ma non certo dalla mia, che genio non sono. Non mi sono mai permesso di fare lo scarica barile, ho semplicemente rivendicato una autonomia, evidentemente che mi deve essere negata, nel non essere professionalmente in grado di proporre sintesi perseguibili, e di non volerlo fare adesso per scelte di vita assolutamente personali e quindi come tali non sindacabili da chicchessia, preferendo una vita famigliare più piena a contatto con i miei cari, e dedicando quindi il mio poco tempo libero a loro e non alla costruzione di progetti di cambiamento in cui per primo non credo, non vedo futuro e non capisco quindi per quale motivo dovrei impegnarmi. Se anche questa è una colpa, attendo un atto d’accusa formale. È curioso notare come la definizione di “partecipazione politica” espressa nell’articolo richiami la possibilità di essere vista come un fenomeno intimo, che si basa su scelte individuali, ma gli stessi autori negano a me la possibilità di stabilire quanto attiva debba essere la mia scelta politica, e mi accusano di asocialità nel caso non corrisponda con la loro. Rilevo una seppur vaga contraddizione. A mio avviso la politica è sì discussione e partecipazione, ma soprattutto realizzazione concreta di fatti. E questi, ancora una volta, mancano. E no, non sono io che li debbo creare questi fatti, perchè questa è stretta competenza dei politici, ed io, ancora una volta, politico non sono. Sul resto dell’articolo ho poco da aggiungere, e mi trova d’accordo. Come essere d’altronde in disaccordo con Bobbio e Pasquino? Resta dunque un ultimo punto lasciato in sospeso dall’inizio ma discusso in vari momenti nella presente, ossia la vexata quaestio sull’interventismo, o attivismo politico, per risolvere i problemi in prima persona e non lasciarli risolvere ad altri. Come già espresso, ritengo che ci siano ennesime tipologie di comportamenti e di partecipazione, come evidenziato anche da altre citazioni nell’articolo. Da un lato quella inesistente, di totale menefreghismo non solo verso le istituzioni politiche, ma verso la politica stessa come concetto, tout court. E questa è indubbiamente e facilmente visibile come la più pericolosa per lo stesso tessuto sociale, e alla quale ritengo di non appartenere, bontà loro. Dall’altro lato c’è la scelta di fare della politica una professione, impegnando anima e corpo. Credo che entrambe le situazioni, ancorchè estreme, siano quanto meno accettabili, e quindi vadano rispettate. Si pur poi discuterne, cercare di convincere le persone ad un cambiamento, ma si tratta di scelte personali che come tali vanno salvaguardate. Nel mezzo ci sono infinite variazioni, che ognuno di noi declina a seconda di una serie di calcoli e ragionamenti squisitamente personali. La mia posizione si colloca, come ormai dovrebbe essere chiaro, verso una partecipazione meno attiva e continuativa, magari poco pratica, più improntata al dialogo e all’espressione del diritto di voto. Il perchè, credo di averlo già ribadito. A seconda dei punti di vista, anche la mia attività di collaboratore con la Bussola credo possa essere vista in quest’ottica e mi piace pensare che anche questo scambio di opinioni sia da inquadrare nello stesso elemento. A seguito di questa posizione, nel momento in cui si avvicinano le elezioni, e a guardare nel recente e recentissimo passato di questa classe politica, mi si pone l’eterno problema di come votare. Sul fatto di voler e dover andare a votare, non riserbo il minimo dubbio. Ma se fino ad oggi ho consegnato il mio preziosissimo voto ad un partito, ad uno schieramento o ad una persona, a seconda dei balletti delle leggi elettorali, senza aver mai avuto indietro qualcosa di concreto, ma anzi in svariate occasioni mi sono sentito sonoramente preso in giro dai voltafaccia e dai comportamenti quanto meno discutibili dei parlamentari eletti, in questo scorcio di 2008 mi chiedo se non sia possibile percorrere una strada alternativa al solito “votare turandosi il naso” di montanelliana memoria. Votare per il meno peggio, votare per quella parte di parlamento che fa meno schifo. Non so voi, ma io ne avrei abbastanza. Vorrei votare finalmente potendo respirare aria vera di cambiamento, esercendo il mio modesto ma importantissimo diritto di voto verso qualcuno che mi conquisti, che incarni ben oltre un 5 o 10% i miei ideali, i miei punti di vista, le mie aspirazioni di una nuova modalità di governo e di vita politica. Purtroppo, per ora, all’orizzonte non vedo nessuno con queste caratteristiche. E allora, che fare? Nauseato dalle recentissime esternazioni parlamentari, che si sommano a tutte quelle delle legislature precedenti, ovviamente, mi sono chiesto se non sia il caso per una volta, di votare scheda nulla. Apriti cielo! Mi si dirà: se non trovi nessuno che ti ispiri, fatti tu avanti. Se non condividi logiche e progetti proposti, avanzane tu di tue. La possibilità di entrare nel meccanismo del cambiamento c’è: usala. Innanzitutto non ho la minima intenzione di propormi come candidato, perchè, ripeto, non è il mio mestiere, non penso di saperlo fare e non ho la minima presunzione di improvvisarmi (come invece fanno ben altri). Molto umilmente ritengo che il mio compito di cittadino votante sia tutto ciò che al momento posso offrire. Se questo viene visto come una fuga, mi dispiace, ma non sono d’accordo, rivendico ancora una volta la tutela e il rispetto delle mie scelte, per quanto scomode o inopportune possano essere. Avanzare nuove logiche e progetti: non penso proprio di avere nè il tempo nè la capacità di competere da zero con chi queste operazioni le fa da una vita, o ha deciso di (con)viverci. Partecipare quindi, in ultima analisi, con chi queste cose le fa di mestiere: nessuno schieramento politico o gruppo di pressione al momento mi è particolarmente congeniale, e nutro profondi dubbi sulla effettiva e reale capacità di cambiamento dall’interno.
A questo punto, riassumendo il tutto e tirando le fila: ritengo più che legittima la mia posizione di cittadino attento alla politica, ma che riconosce anche i propri limiti, che per una serie di motivazioni personali, famigliari, di intelletto e quant’altro, non ritiene che una partecipazione politica attiva, costante e continuativa sia al momento possibile, che ha come unico desiderio quello di far valere il proprio diritto al voto esprimendo una preferenza, ma che in questo preciso momento non trova nessuno a cui delegare il proprio potere decisionale, e quindi piuttosto che buttarlo via o sentirsi preso in giro come è già successo in passato, pensa di potersi permettere il lusso, per una volta,di non preferire nessuno. Non ho mai detto che sarà questa mia posizione quella che porterò fino alla tomba, nè che non accetto discussioni in merito, ma la decisione ultima la sceglierò, al solito, dentro la cabina elettorale. È su queste ultime battute che vorrei avere un dialogo di confronto e di scambio di pareri, e gradirei vedere riconosciuta una mia scelta di vita, sociale e politica, senza essere tacciato di infamia, codardia e incapacità. Non è su questi binari che si giunge ad una crescita politica, da nessuna delle parti.

Grazie, cordiali saluti.
Carlo Biason