Le chiacchiere politiche pre e post elettorali, inevitabili compagne di cene e salotti di questa lenta primavera, hanno portato con sé ? mi è capitato di esserne stupito testimone ? una diffusa riprovazione di ?benpensanti democratici? per le opinioni che un mio amico (di cui non occorre qui fare il nome) si ostina ad esprimere in tali occasioni con abbondanza di immagini di colorita e plastica evidenza, forse talora un po? truculente, attinte dalle invece scolorite memorie scelbiane di un lontano periodo in cui il Paese, ora comatoso, si affacciava all?Europa con vorace e vitale desiderio di crescita e di sviluppo. L?argomento è sempre lo stesso: il rapporto fra stato e cittadino nel momento dell?esercizio dell?autorità.

Non che il mio battagliero amico ne abbia bisogno, ma tuttavia, percependolo un po? solitario, vorrei spendere qualche parola in supporto delle sue tesi, cercando di renderle ?palatabili? per i difficili e raffinati gusti dei comuni amici.

Poniamo dunque il tema. L?abbiamo peraltro già detto altre volte: qui non è in questione il credo democratico di nessuno; la democrazia è un sistema (definizione di sistema: complesso di strumenti o apparati in cui ciascuna parte trova funzione e coerenza nel rapporto con le altre ) concepito dall?uomo, dopo le molte e gravi delusioni causate da diversi sistemi, per determinare la formazione della volontà dello Stato attraverso l?organizzato concorso delle volontà e delle opinioni delle maggioranze dei cittadini, delle quali si suppone (per postulato) la superiore saggezza; non è essa stessa lo Stato. Se volete un paragone moderno, la democrazia è il software dello Stato, il quale a sua volta è fatto di software e di hardware attraverso i quali si produce l?azione di governo, come il computer produce l?output facendo ?girare? il software sull?hardware. Una volta prodotto l?output ? fuori di metafora: l?azione di governo ? esso non ha più nulla a che vedere col software, ne è totalmente indipendente pur essendone stato originato. Così, se con metodo democratico (software) fosse deciso, per esempio curioso, che è necessario rapare tutti i cittadini per combattere i pidocchi (output), chi si ostinasse a portare i boccoli dovrà essere punito, e, se necessario, rapato con la forza (da parte di chi è legittimato ad usarla, beninteso!). Il metodo con cui si è deciso, non ha nulla a che vedere con la determinazione a combattere i pidocchi; e se per avventura si fosse tolleranti verso qualche portatore di boccoli, non si sarebbe protetto il software ma solo minato l?output!

Non occorre, credo, fare altri esempi meno scherzosi: sono certo che anche gli amici del mio amico tanto biasimato sono d?accordo su quanto precede. Allora dove nasce il vituperio per le sue colorite espressioni? Non certo, spero, solo dal colore, che è caratteristica di chi si sa esprimere con non grigia efficacia, quanto invece dalla conseguente (ma dagli altri apparentemente non desiderata) applicazione del principio condiviso a molti dei fatti cui assistiamo con apparente (ma democratica!) impotenza e, direbbe Camilleri, grande sacro timore dello ?scaramazzo? mediatico: i tifosi assaltano la caserma dei carabinieri? Giovani avvinazzati circondano e minacciano, in pieno centro di Torino, i vigili che applicano una multa? I no-TAV occupano le strade dopo che un investimento è stato approvato in tutte le sedi titolate a farlo? I napoletani assaltano i Vigili del Fuoco che intervengono per limitare i disastri cagionati dal malgoverno di un problema altrove molto semplice? Ebbene, in questi casi, sembrano pensare i ?benpensanti democratici?, imporre, sì, imporre l?ordine (spaccare qualche testa direbbe il mio amico) è un attentato all?impianto democratico del Paese, un qualcosa di ripugnante che susciterebbe solo critiche (nei giornali; che, come noto, in Italia hanno un largo seguito di lettori!) e non risolverebbe alcun problema.

Per certi aspetti questo è vero: non è che, per esempio, reprimendo la contestazione ai Vigili del Fuoco del Napoletano o ai Vigili Urbani di Torino si risolve il problema dell?immondizia o quello del traffico, che trovano soluzione grazie ad azioni positive di governo e non di ?repressione?; solo, ad avviso del mio amico (e mio personale), si risolve il problema di uno Stato che ha perso il rispetto di se stesso, che permette ad organizzazioni di delinquenti di spadroneggiare in vaste zone del Paese perché non è stato in grado di affermare la propria autorità, che ha consentito, così, di identificare l?azione centrale di governo (icasticamente: la capitale) in un branco di parassiti (ladroni e fannulloni), incapaci di far rispettare le regole che essi stessi approvano, che ha portato in tal modo consistenti porzioni del tradizionale elettorato di sinistra, anche estrema, a votare a destra sulla base di una percezione di abbandono degli ?onesti? alle soperchierie dei delinquenti (veri o presunti, italiano o immigrati).

E si educano i cittadini, a rispettare le azioni dello Stato quando correttamente decise, a poter contare sullo Stato quando ci si sente soperchiati, a considerare che lo Stato non si rattrappisce quando deve trarre, al suo interno, le conseguenze dei principi in cui dichiara di credere, che non vuole apparire ai suoi stessi cittadini e ? fatalmente ? anche agli altri uno Stato senza principi, dove è complicato vivere, rischioso investire e, talora, anche solo circolare.

Sento già l?obbiezione ?democratica? dei raffinati e saggi amici del mio amico: ?ma violenza chiama violenza! Ricordiamoci quello che è accaduto a Genova ai tempi del G8!?
Anche se io (a differenza di loro) non so bene che cosa sia successo a Genova, non esito a concedere che, nel principio, gli amici del mio amico abbiano ragione. Il fatto è però che l?affermazione del potere dello Stato non deve essere violenza (tanto che, infatti, tale affermazione del potere deve essere esercitata all?interno di regole predefinite) perché non è violenza l?applicazione della legge, anche in forme coercitive (o c?è qualcuno che ritenga violenta, per esempio, l?applicazione dell?ergastolo ad un pericoloso delinquente?). L?attività dello Stato per imporre la volontà che, democraticamente, si è materializzata in norme non è esercizio di violenza (prepotente e sregolata applicazione dell?energia del più forte sul più debole) ma esercizio del potere che, vivaddio!, è stato conferito democraticamente a chi ora ha solo il dovere di esercitarlo, per il bene di tutti (o, se si vuole, della maggioranza dei cittadini), con equilibrio ma con severità.

Se tutto ciò è vero, come credo, il mio povero amico ha proprio bisogno della mia solidarietà, come pure di tutti quelli che credono che a nulla serva salvare il software (la democrazia, nella nostra metafora) se si distrugge il computer (lo Stato)!