A Roma il Partito Democratico ha perso; ha perso tanto ed ha perso male, sebbene l?analisi fatta dai nostri dirigenti sembra caratterizzata da un sostanziale ridimensionamento, non capendo la gravità di tale sconfitta.
Molti hanno additato la sconfitta alla scelta un candidato di indubbio valore ?amministrativo? ma incapace di simboleggiare quel cambiamento che i cittadini romani cercavano. Altri hanno visto questa sconfitta come una sonora bocciatura di un modello politico-amministrativo, il ?modello Roma?, caratterizzato, tra le altre cose, da grandi eventi culturali di massa che interessavano però fasce ristrette della popolazione, senza coinvolgere i cittadini dei quartieri più popolari e delle periferie.
La destra romana ha usato soprattutto questo argomento in campagna elettorale, riuscendo ad imporre il frame dominante della campagna, la cornice attraverso la quale tutto il discorso politico viene analizzato e che riesce a imporre le proprie mosse all?avversario. In questo caso il frame dominante era quello di una città centrale fatta di luci e lustrini, ma che lasciava in mano le periferie ad orde di immigrati clandestini. La questione ?sicurezza? è riuscita ad imbrigliare qualsiasi mossa che il Partito Democratico ha cercato di portare avanti in campagna elettorale, obbligandolo solo ad una campagna difensiva piuttosto che d?attacco.
Una campagna, quella della destra, sicuramente riuscita. Onore al vincitore dunque e tanti auguri di buon lavoro.

Il combinato disposto di un modello amministrativo sostanzialmente inefficiente, un radicamento del Partito Democratico nei territori molto inferiore a quello delle destre ed una candidatura che è sembrata più la successione al trono che frutto di un processo democratico, ha portato alla vittoria di Alemanno.

Ma è proprio vero che Rutelli ha perso a causa delle Notti Bianche di Veltroni? Sono veramente così inutili le politiche di rappresentazione della città?
Le città globali, le grandi capitali europee e mondiali, competono fra loro anche attraverso la proiezione che offrono di se all?esterno.

Dopo l?11 settembre del 2001, il sindaco di Amsterdam Job Cohen, ha cercato di rendere Amsterdam il centro mondiale dell? incontro delle culture, proiettando all?esterno l?immagine di una città aperta e tollerante. In un paese il cui le tensioni dovute ai fenomeni migratori hanno raggiunto momenti di asprezza difficilmente riscontrabili in altri paesi, come gli omicidi di Pym Fortuin o Theo Van Gogh, la sfida di Job Cohen sembra politicamente molto significativa. Da quel momento sono nati festival per l?incontro delle culture, feste di quartiere e via dicendo.
Questa politica di rappresentazione della città è servita veramente? Non è dato sapere, visto che è impossibile misurare quanto effettivamente le culture si siano incontrate e non scontrate.
È invece possibile misurare e verificare, ad esempio, il numero di biciclette che circolano per i canali della città, il tempo che s?impiega per recarsi in ufficio, l?efficienza degli uffici pubblici e la segregazione d?interi quartieri urbani. Questi gli elementi di un piano che Job Cohen aveva presentato assumendo l?incarico di sindaco della città.
Ma allo stesso tempo le politiche per rendere Amsterdam una città mondiale, sono continuate. Lo sforzo è stato massimo per renderla una città diversa, per molti versi uno sforzo simile a quello intrapreso dalle due giunte Veltroni.

E allora perché nessuno parla di rivoluzioni che devono avvenire o di ?modelli Amsterdam? in crisi? Perché anche in caso di sconfitta elettorale nessuno parlerà di rivoluzione epocale e di cancellazione di un epoca?
La capacità di tenere insieme, nello stesso tempo e con la stessa intensità, politiche di rappresentazione e un modello amministrativo efficiente e funzionale, ha permesso a Job Cohen di raggiungere risultati apprezzabili. Il suo motto è stato ?De boel bij elkaar houden?, tenere le cose insieme, politiche per la città e politiche per i cittadini.
Il sindaco olandese si vanta di aver portato, sotto il proprio mandato, il numero di biciclette circolanti ad Amsterdam a 800.000 (i residenti ad Amsterdam risultano circa 750.000), di aver fatto diminuire il numero di crimini commessi e di essere riuscito, con le proprie politiche, ad evitare tensioni dopo l?omicidio di Theo Van Gogh. Ma al momento, non ha mai parlato di ?modello Amsterdam?. Di fronte alle critiche, che sono critiche normali ed accettabili dal momento che non esistono modelli perfetti, non ha accampato la giustificazione dell?invasione di rumeni dall?est o delle dinamiche urbane che naturalmente dovrebbero portare ad un aumento della criminalità. Alle critiche sulle condizioni attuali di Amsterdam, Job Cohen non ha risposto che la sua città è la migliore città possibile, in cui i sui lati negativi sono condizioni accessorie quasi obbligatorie per una grande città come Amsterdam ? o Roma.
Le critiche, in democrazia, sono uno stimolo a fare più e meglio, e così Job Cohen le ha accolte. Un esercizio di umiltà che è mancato alle ultime giunte romane, troppo impegnate a difendere il ?modello Roma? che forse non era così perfetto.

Un modello, ad esempio in ingegneria, è di per sé una rappresentazione, spesso un archetipo semplificatore, che in quanto modello, non ammette critiche, al massimo altri modelli da contrapporre. La politica è altra cosa e la sua maggiore caratteristica è essere soggetta a critiche ed al pubblico dibattito. Sarebbe ora di ricominciare a parlare di politica e non di ingegneria.