“Se un Paese o una cultura si chiude a culture che arrivano dall’esterno, non ha molto futuro”. Un appello all’accoglienza rivolto all’Italia e all’Europa, perché possano rispondere alle richieste dei migranti che arrivano nel vecchio continente. Lo ha formulato stasera all’Oratorio del Caravita il gesuita Adolfo Nicolás, padre generale della Compagnia di Gesù, durante l’incontro sul tema “Frontiere o barriere? Le migrazioni nel mondo”, promosso dal Centro Astalli (Servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia), in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, che si celebrerà il prossimo 20 giugno.
“Se anche il Paese è in crisi e si vivono delle paure, ci sono volontari dimostrano vicinanza, compassione verso chi bussa alle nostre porte. La gente non crede più alle parole, ma i fatti, il mutuo aiuto, la solidarietà parlano”, ha proseguito il padre generale dei gesuiti, che ha risposto alle domande del vaticanista del Tg1 Aldo Maria Valli sottolineando: “Abbiamo bisogno di frontiere flessibili, fluide, sempre aperte agli altri. Invece quelle che portiamo dentro generano insicurezza e paura. La politica in questo momento, soprattutto nel mondo sviluppato, spinge alla paura e ci chiude, fino a temere di uscire per strada. Questa è la radice del nostro bisogno di creare frontiere; a volte sono necessarie per costruire la nostra identità, ma a volte sono motivate dalla nostra ignoranza”.
“E’ importante per noi tenere viva la distinzione tra rifugiati e immigrati: i rifugiati sono persone che scappano dal loro Paese con un unico bagaglio, quello di ricostruire la loro vita. Noi abbiamo il compito di tenere viva la speranza di quanti sono costretti a lasciare la loro terra, la loro famiglia, la loro cultura e arrivano in Europa”, ha dichiarato padre Giovanni La Manna, direttore del Centro Astalli.
“Come gesuita, ho vissuto presso il Centro pastorale per i migranti in Giappone gli anni più belli: l’incontro con loro è stato un grande aiuto per il lavoro a cui sono chiamato adesso, a contatto con situazioni estreme”, ha ricordato padre Nicolas, raccontando l’esperienza di “rifugiati che non sanno come sopravvivere, come far vivere la loro famiglia. Le nostre famiglie, frontiere naturali, dovrebbero essere sempre aperte ad accogliere altri fratelli in difficoltà. Occorre coltivare una memoria collettiva: anche gli italiani sono stati migranti, ma forse hanno dimenticato cosa significa esserlo”.
“Crediamo che la cultura del nostro Paese sia l’unica. Invece la barriera è la negazione dell’altro, completamente diverso da noi – ha proseguito padre Nicolás -; a volte è sana: abbiamo bisogno di protezione. Nell’Unione europea abbiamo una moneta e un passaporto comune, ma creiamo altre frontiere perché siamo sempre in tensione con noi stessi, con paure e tensioni a volte inconsce. “. In realtà, ha proseguito, “forse le frontiere sono inevitabili, ma la maggioranza sono artificiali”. E nell’incontro con l’altro, ha proseguito, “abbiamo la possibilità di incontrare noi stessi. Nei migranti possiamo vedere cosa è davvero umano e necessario per noi”.
Il Padre Generale della Compagnia di Gesù durante l'incontro al Centro Astalli